Il mito di Prometeo e la speranza nel poeta greco Esiodo

25 Novembre 2016

2899155_640pxIl mito di Prometeo, con il doppio inganno compiuto dal titano ai danni di Zeus, è narrato dal poeta greco Esiodo nella Teogonia.

In questa, Prometeo opera una spartizione fraudolenta delle carni del sacrificio allorchè gli dei e gli uomini si danno convegno a Mecone per stabilire le rispettive spettanze, da cui il ritiro del fuoco da parte di Zeus – che si è accorto subito del tentato inganno – e il furto del medesimo da parte di Prometeo; ma la narrazione del sèguito è, poi, nelle Opere, più ricca di particolari, come quella che più da vicino interessa la vita degli uomini.

Come ulteriore e definitiva ritorsione contro Prometeo (e contro gli uomini, solidali con lui) Zeus e gli dei inviano la donna, Pandora; ed Epimeteo, il fratello sciocco di Prometeo, dimenticando l’avviso del prudente fratello, la accoglie. Pandora sarà la causa di tutti i mali poiché solleverà, per semplice curiosità, il coperchio della giara dove sono contenuti tutti i mali del mondo, i quali immediatamente fuggiranno via e infesteranno, senza scampo, la terra. Solo la speranza (Elpis) rimane all’interno della giara. Si è disputato e si disputa ancora molto sul significato di questo rimanere della speranza all’interno della giara. E’ essa un bene, l’ultimo rimasto ai mortali, oppure un male, dato che essa si trova in fondo alla giara dove erano contenuti tutti i mali in persona?

La risposta, forse, non può che tenere conto essenzialmente del pensiero del poeta Esiodo, che si rivela in linea con il modo di pensare generalmente greco: la speranza è, insieme, un bene e un male, il segno di una condizione umana, ormai perdutamente lontana dalla situazione di felicità in cui vivono gli dei i quali non hanno speranza ma possesso di vita felice. In quella stessa condizione umana essa è un bene perché è necessario sperare per vivere e per lottare. L’Elpis, la speranza, non elimina il male: lo rende sopportabile e aggredibile. La speranza, nel poeta Esiodo, ha qualcosa del suo contrario, cioè la disperazione poichè può decadere in qualsiasi momento trasformandosi, appunto, nel suo contrario! Significativa la connessione tra l’operato di Pandora e quello di Prometeo.

Quest’ultimo è colui che, mancando di saggezza, ha dato al suo nome il valore dell’ironia; quell’ironia che Zeus dimostra quando finge di cadere nel tranello tesogli dal titano a Mecone e di scegliere per sè la parte peggiore della vittima sacrificata. Ma significativa è, soprattutto, la connessione fra Prometeo e la speranza. Infatti, egli si vanta proprio di aver dato la speranza agli uomini (nella tragedia di Eschilo che da lui prende il nome).

Prometeo “ha dato agli uomini le cieche speranze”. Dove il valore dell’attributo “cieche” è da valutare, forse, alla luce di quanto sopra accennato: non che per l’uomo sia bene il semplice non vedere il futuro e, tanto meno, che questa cecità si apra a prospettive di esaltanti destini titanici. La cecità è quella dell’uomo che sa di dipendere dalle incertezze di un Elpis (speranza) la quale è il segno di una condizione che lo distingue e lo separa dal mondo degli dei, gli immortali, ma che è, allo stesso tempo, il necessario viatico di una lotta, spesso aspra e ardua, che durerà per tutta la vita. Non vi è un titanismo puro, grandioso ed eccelso in Esiodo (e nemmeno in Eschilo) quando entrambi fanno riferimento alle imprese di Prometeo. Nulla potrà cancellare la hybris, la ingiusta furbizia del titano. Nessuno può fare a meno della saggezza, della sophrosyne, neppure Zeus (lo Zeus del mito della Teogonia). Tanto meno Prometeo, e ancor meno i piccoli e insignificanti uomini di questo mondo, che credono di essere importanti e simili a dei per il solo fatto di possedere ricchezza e di avere potere di governare stati, nazioni, comunità.

Francesca Rita Rombolà

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