Emily Bronte e il suo capolavoro letterario “Cime tempestose”

24 Novembre 2018

Tra Sette e Ottocento il romanzo inglese si anima vivacemente di una bella schiera di talenti femminili che esprimono con forza la presa di coscienza della donna, le istanze affermative del suo ruolo nella società, la sua indipendenza e autonomia nei confronti del raggelante codice di comportamento tradizionale. Ciascuna a suo modo, Clara Reeve, Fanny Burney, Ann Radcliffe, Jane Austen, Mary Shelley, George Eliot e le tre sorelle Bronte portano un contributo sostanziale all’emancipazione soprattutto intellettuale della donna, dotando in alcuni casi la letteratura di indiscutibili capolavori. Non è un puro caso che quasi tutte queste scrittrici rompano l’interdetto della professionalità letteraria della donna, conquistandosi una dimensione pubblica riconosciuta e definita.

La donna in possesso di consapevolezza intellettuale si ribella al suo stato di soggezione e alla violenza di genere che ne consegue, e fa sentire la sua voce e la sua rabbia in termini del tutto nuovi.

Delle tre sorelle Bronte, scrittrici, Emily è, di certo, la più irriducibile ai canoni di una narrativa tranquilla e regolamentata. E’ davvero la più insofferente e la più anarchica. La fusione e la compattezza di un capolavoro come “Cime tempestose”, che ha in sè un qualcosa di eroico e di epico, è frutto della sua esuberante energia, creatività e forza interiore. Gli influssi del gothic novel e del titanismo byroniano sono, in “Cime tempestose”, molto evidenti. Il Romanticismo sprizza da tutti i pori del romanzo e il perno intorno a cui ruota l’intera vicenda, il personaggio di Heathcliff, incarna in maniera cruda e spesso anche brutale il dark hero che così tanta fortuna e successo avrà nella tradizione inglese fino ai nostri giorni. Heathcliff è animato da una passione distruttiva e svolge, nel corso di tutto il romanzo, la funzione di vendicatore spietato. Ciò nasce in lui, in realtà, da una profonda quanto disperata infelicità che lo porterà, infine, a vivificare la propria morte con quella della donna amata, in una specie di aspirazione erotico-panteistica che conferisce a tutto il suo personaggio dimensioni davvero inedite e inesplorate a livello letterario.

Come tutti i grandi romanzi di ogni storia letteraria, “Cime tempestose” presenta se stesso senza bisogno alcuno di intermediari. Non riproduce qualcosa ma, semplicemente, si manifesta. Soprattutto per questo “Cime tempestose” è un’affermazione di libertà sconfinata il cui prezzo è tuttavia altissimo, ed è lo stesso prezzo che l’autrice, Emily Bronte, è disposta a pagare nelle sue poesie, che al suo romanzo-capolavoro preludono, e del quale possiedono già una quantità di elementi: “Il profondo essere della natura conterrà il tuo,/il suo spirito abbraccerà tutto il tuo spirito,/ il suo alito assorbirà i tuoi sospiri./ Mortale, sebbene il conto della vita sia presto finito,/ chi vive una volta, non muore mai. /Così privo di speranza è il mondo esteriore,/che il mondo interiore doppiamente apprezzo: / il mondo dove l’inganno e l’odio e il dubbio/ e il freddo sospetto non nascono mai; / dove tu ed io e la Libertà/ abbiamo sovranità incontrastata”.

Francesca Rita Rombolà

 

P. S. – Per te, mia cara sorella, che hai gustato “Cime tempestose” di Emily Bronte in letture profonde e lontane e hai interiorizzato i suoi versi appena citati trasformandoli nel “tuo” baluardo di interiorità.

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