Il bisogno della festa popolare – CORRADO L’ANDOLINA

17 Luglio 2013

“Quelli che erano in quell’emporio e nei vicini monasteri vedendo e sentendo le cose mirabili che erano state operate, portando croci, ceri e benedicendo il Signore con inni, cantici e salmi, giunsero in quel monastero dove riposa il corpo di lei; benedissero il Signore Dio che fino allora aveva operato molte cose mirabili per la preghiera e il merito della santa Vergine Marina, cui il Signore si era degnato di dare tanta grazia”.

De vita et verbis seniorum

(A. Bibliotheque Nationale: ms. du fonds latin 2328, IX secolo – Traduzione L. Clugnet)

Santa Marina, celebrata oggi, 17 luglio, a San Giovanni di Zambrone

Nel riportare questo brano tratto da DE VITA ET VERBIS SENIORUM del IX secolo dopo Cristo nella traduzione di L. Clugnet che apre il libro PER SANTA MARINA – Devozione religiosa e riti civili nella tradizione sangiovannese – a cura di Corrado Antonio L’Andolina mi soffermo, per una breve riflessione, intorno a questo volume agile ma intenso che parla di devozione religiosa, di riti e di tradizioni popolari, di sacralità, di rinuncia e di libertà della donna, ma essenzialmente di festa… di quella festa genuina e semplice che la si annusa nell’aria e la si percepisce sulla pelle, la si sente nel cuore, la si vive in ogni fibra dell’anima, la si partecipa con tutto l’essere. Ricordi d’infanzia di un tempo altro sono intercalati dalla testimonianza partecipata che Corrado Antonio L’Andolina spiega e analizza con sintesi, competenza e capacità introspettiva. Pochi luoghi della Calabria, credo, non abbiano il culto di un santo o di una santa orientali portato, in epoca lontana, dai monaci Basiliani esuli d’Oriente. Corrado Antonio L’Andolina descrive, in questo libro, quello di santa Marina Vergine, con un accennare che forse è capace di commuovere ancora e riesce, forse ancora, a respingere il potere minaccioso dell’oblìo, a conservare e a saper tramandare la dimensione tutta interiore del vissuto con la forza della rammemorazione (l’aver memoria e il raccontare). Il racconto della vita di santa Marina Vergine, accompagnato da quello della vita di altre sante dell’epoca, figure femminili straordinarie nella storia della Chiesa e del genere umano, viene presentato in maniera scevra da stereotipi e preconcetti “tutti al maschile”, con una visione che scavalca le epoche e restituisce alla donna, al femminile, all’eterno femminino il giusto ruolo che spesso le è stato tolto con la violenza, usurpato e messo a tacere da società e culture “chiuse” che hanno sempre e solo dato spazio alla supremazia maschile, spesso anche questa distorta dai suoi fini reali, biologici, naturali. Come donna non posso che elogiare l’autore per questa sua “scelta di scrittura” che dona o ridona a noi donne voce, uguaglianza e potere decisionale e gestionale al pari degli uomini (non è facile, infatti, che un uomo “veda”, per così dire, il lato femminile di una storia, di una biografia, di un contenuto). E poi… si ritorna al gusto della festa, al sapore della festa popolare che, malgrado tutto, resiste, resiste ancora nei piccoli paesi del Sud, e ci fa ritornare tutti un po’ bambini, alla nostra infanzia che, povera, triste o felice, è stata scandita dalle fasi della festa di un santo patrono, plasmando la formazione della nostra personalità futura e le basi valoriali del nostro vivere civile nel mondo. Qualche anno fa, ho domandato a un intellettuale francese (Marc Tamet, direttore di un teatro di Arte Moderna a Parigi), nel bel mezzo di una festa patronale in un paesino della Calabria, cosa pensasse a proposito. Egli, calato pienamente nell’atmosfera festosa, allegramente ha risposto: <<La gente ha bisogno di queste feste. Ne avrà sempre bisogno. >>

Francesca  Rita  Rombolà

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