Ernesto Masina e la “via della scrittura”: un lavoro vero e proprio

13 Dicembre 2019

Ernesto Masina ha pubblicato “L’orto fascista”, che non è e non vuole essere un libro storico o politico: è una tragicommedia che a volte sfiora la pochade. I giornalisti de “la Stampa” hanno collocato questo libro nel sito “Lo scaffale” dove vengono ospitati solo libri che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca famigliare. A questo suo primo libro, ha fatto seguito “Gilberto Lunardon detto il Limena”, che ha avuto altrettanto successo. Ha poi pubblicato “L’oro di Breno”, che completa la trilogia. Decide, quindi, di cambiare genere, ed ha tentato di scrivere un “giallo”. Lo fa con “Il sosia”, che è piaciuto molto ed ha ricevuto molti consensi di critica e di pubblico.

Francesca Rita Rombolà ha conversato con lui.

D – Il suo primo libro “L’orto fascista”, racconti un pò tutto su di esso.

R – Il primo romanzo è nato quasi per scommessa. L’avevo “dentro”, ed è finito sulla carta in modo semplice e non faticoso. Parla di un periodo della Storia(quella, appunto, con la S maiuscola)che ho vissuto, ovviamente solo con la mente di un bambino che non si rendeva conto della gravità politica e sociale ma solo di una serie di fatti il cui succedersi non aveva una logica predefinita. Un’avventura(mi sono accorto solo alla fine dolorosa)che ogni giorno portava nuove situazioni a volte così differenti tra loro che quasi apparivano impossibili. Ricordo perfettamente l’arrivo di una pattuglia di tedeschi, in quel piccolo paese della Valcamonica, e da un giorno all’altro lo stravolgimento della vita di quella comunità. Ho trattato la storia con fare quasi scanzonato, anche perché non volevo assolutamente che apparisse uno scritto storico o politico, pure se nella sua trama si parla di fatti drammatici. Dopo il successo avuto con “L’orto fascista”, non solo nello stretto ambito famigliare e delle amicizie(ricordo che i giornalisti de “La Stampa” hanno collocato il mio lavoro nel sito “Lo scaffale” dove vengono ospitati solo libri che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca famigliare), ho pensato di dedicare una trilogia di racconti a Breno, che è il paese dei miei avi materni fin dal 1300. Hanno fatto, quindi, seguito “Gilberto Lunardon detto il Limena” è “L’oro di Breno”.

D – E’ importante per lei la scrittura? Scrivere è una passione o qualcosa di più e di diverso?

R – La “via della scrittura”, per uno che voglia intraprenderla seriamente, non è un passatempo ma un lavoro vero e proprio. Sì, occorre anche la passione, ma l’importante è riuscire a farla convivere con la fantasia, la volontà e, spesso, con la ricerca. Nel mio secondo romanzo, per esempio, scrivo di un allevamento di oche. Non avevo la più pallida idea di cosa mangiassero, come si accoppiassero, quando si “prelevassero” le piume e come e dove venissero utilizzate. Nozioni banali, ma se non le conosci devi andare a studiartele. E lo studio non è stato semplice, anche se divertente. Io, poi, ho avuto la fortuna di non preparare “un canovaccio” e di seguire pedestremente quanto preventivato. Mi sedevo al PC e cominciavo a scrivere quello che sentivo, quasi che ci fosse dentro di me uno che mi dettasse.

D – Perché, a un certo punto, decide di scrivere un giallo? “Il sosia” è un giallo, vero? Ne vuole parlare un pò?

R- Dopo la trilogia ha prevalso l’amore per quelle zone della mia gioventù. Ho scritto due romanzi(che non sono stati ancora editati)su Breno e la Valcamonica, appunto. Poi ho temuto di stancare i miei lettori costringendoli alla solita ambientazione ed a situazioni ripetitive come è successo ad altri ben più famosi scrittori. Ho ripreso allora in mano delle pagine che avevo scritto anni fa durante una settimana di pioggia passata sulle montagne del Tirolo austriaco. Delle pagine, mi auguro, divertenti che sono il prologo ma anche l’inizio di un giallo un pò differente da quelli tradizionali. Così è nato “Il sosia”. Dalle buone valutazioni ricevute sembra ci sia riuscito.

D – Le piace la Storia? Che periodo storico preferisce o la coinvolge, anche emotivamente, di più?

R – Anche se il periodo storico che ho vissuto è stato uno dei più drammatici della storia del nostro Paese è quello che prediligo. A parte gli atti di eroismo che si sono verificati, nell’atmosfera di paura che respiravamo i valori di fraternità e uguaglianza erano sempre presenti. Io poi ho avuto la fortuna di vivere parte di quegli anni in un piccolo paese dove tutti erano un pò parenti, un pò amici e la sopportazione reciproca era costante. A volte anche in connivenza.

D – E i poeti e la Poesia? La sua riflessione o opinione al riguardo.

R – Parlarti della poesia? Ai miei tempi la scuola era riuscita a farcela odiare. Abbiamo passato settimane intere a imparare a memoria Carducci, Manzoni, Pascoli, Giusti ecc. ecc ecc.(oltre ovviamente a Dante)da averne la nausea. Poi è stato il momento del desiderio, di scriverle noi. Chi tra i quattordici e i diciotto anni non ha composto poesie romantiche o esistenziali? Finalmente “L’antologia di Spoon River” ci ha riconciliato con il Bello. Infine, è arrivato il tempo di quelli che scrivevano, ritenevo, sbagliando, solo per gli acculturati. E non leggevo. Ma poi la Poesia non è solo quella in versi, la si trova spesso nelle pagine di romanzi scritti da grandi autori. Come vorrei che qualcuno dicesse di averla trovata anche nei miei scritti… Ma non avverrà mai.

Francesca Rita Rombolà

Ernesto Masina

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