Drammaticità e solennità dell’esistenza, ma al culmine della pienezza di vita. “ARABESCHI” di Dario Lodi

28 Marzo 2022

Per chi non sa cosa sia l’arabesco, proprio in due parole, cercherò di darne la definizione base più semplice, e cioè l’arabesco è un ornamento minuzioso quanto particolare, delicato e tuttavia intricato, bello e di una nudità assoluta e disarmante e tuttavia di una complessità quasi labirintica. L’arabesco è, in un certo qual senso, il linguaggio dell’arte islamica, infatti viene utilizzato fin dalle origini da tale cultura e da tale civiltà per abbellire e decorare moschee, palazzi, cupole, porticati, sale e ogni sorta di luogo – incontro frequentato e abitato dall’uomo. Le forme dell’arabesco sono di vari colori, anche se l’arte più elevata e più profonda predilige l’azzurro intenso, il giallo oro e il verde naturale, le sue geometrie creano e compongono, si rincorrono e si ritrovano giusto per trasmettere all’osservatore, perfino al più distratto e indifferente, un senso di serenità e di armonia che sembra affondare le proprie radici nell’Universo invisibile agli occhi della materia. L’arabesco si compone anche di elementi calligrafici oltre che architettonici e geometrici, ne sono un esempio i caratteri cufici della scrittura araba inventata per il medesimo scopo e per completare una visione d’insieme che abbraccia veramente il Tutto. Che sia la foglia o il fiore a comporre l’arabesco e talvolta a predominare sull’altro ciò che vi traspare è quasi sempre un senso di forza e di potenza che vuole sconfiggere la morte per affermare la pienezza della vita e l’immortalità tanto desiderata e cercata dall’essere umano di ogni tempo.

Questo breve exursus introduttivo sull’arabesco per tentare di scrivere sulla silloge poetica di Dario Lodi “ARABESCHI – Poesie alla ricerca di un perché e di un chissà”, silloge particolare, precisa e nuda a un tempo, complessa e semplice insieme che all’arabesco si ispira e dall’arabesco prende spunto per veicolare il suo messaggio sotteso quanto profondo e a tratti dolorosamente esistenziale capace di coinvolgere l’intero essere che voglia inoltrarsi in esso per capire qualcosa della realtà e dell’irrealtà, dell’esistenza e del mondo. L’atemporalità segue il filo sottile di una forma stilizzata, che getta lo sguardo nell’intreccio e nel rincorrersi svelto e spesso inverosimile dell’arabesco poetico. Una poetica essenziale, umana e sovrumana avvolge e si riflette, si eleva e si abbassa sicura di sapersi muovere nei paradisi e negli inferni dell’anima, nel suo conscio come nel suo subconscio lampi e momenti di dispersione nei quali serpeggia di già l’unità futura che li saprà conciliare. La sofferenza endemica del poeta, la sublimazione del suo dolore innato attraverso il linguaggio che incide e crea, crea ed incide, ornamento dell’essenza luminosa dell’umanità perduta e lontana dal Divino e alla ricerca, spesso affannosa e febbrile, dell’immortalità. Forme geometriche in versi, la forma geometrica del verso cesellata, che lascia incantati e avvolge nella sua nube di mistero e di bellezza al pari della volta di una moschea, del colonnato di un giardino esotico o di una sala nascosta delle abluzioni.

“Le cose/dolcemente piegate/dal pensiero./Finalmente l’occasione/di saperle docili/e ferme/nella mente/in un angolo di/contemplazione/infinita”. L’arabesco N. 7. “Poter/essere nel tempo/e nelle cose/come schegge/conficcate sino/in fondo”. L’arabesco N. 22. E poi anche l’arabesco N. 34. “Il giorno è malinconia./L’aria è sospesa su/rivelazioni e minaccia/grigiori infiniti./non c’è speranza/neppure nella speranza?”. E l’arabesco N. 75. “Di nascosto/si potrebbe dire che questo/subire gli eventi è una/fatica sovrumana./Si preferisce soffrire in/silenzio/e dire che tutto va bene/anche il proprio arcano/dolore”. Una silloge poetica davvero ardita “ARABESCHI” di Dario Lodi, che lascia senza fiato e dona arricchimento interiore mentre stimola le più oscure e impellenti domande di senso nel dilemma che le accompagna. Dal finale di GRANDE ARABESCO, l’ultima parte della silloge poetica: “( … ) Può l’immaginazione scombinare le regole/di un gioco sconosciuto?/E perché vuole/comunque farlo? D’altro canto, assenza di/tentativi determina la prevaricazione di una/resa insopportabile a quel che potrebbe/essere nulla./Ovvero, nulla senza essere,/cioè vuoto assoluto, niente. Che senso/avrebbe danzare sul nulla, nel nulla? Il problema vero sta nell’arabesco, sta/nel labirinto. L’arabesco è da preferire in/quanto consente la liberazione di fantasie/che hanno possibilità di rivelare qualcosa,/di dare una direzione alle cose dopo averle/indagate a fondo sia con l’intuizione/ (pressoché infallibile) che con il ricorso alla/ragione, pur se dannatamente convinta della/propria capacità analitica. La dannazione deriva dalla matrice fisica della razionalità,/adottata senza alcun tentennamento. Essa/tende a minimizzare l’operato sentimentale, a mettere il sentimento in una posizione di/debolezza. L’aritmetica più affidabile della/fantasia? Ma la prima inanella problemi,/mentre la seconda da soluzioni coraggiose, inaffidabili però costruttive”. Drammaticità e solennità dell’esistenza, ma al culmine della pienezza di vita.

Francesca Rita Rombolà

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