Sembra che né lo spazio né il tempo abbiano più un valore probante per il poeta. “KLINAMEN”, silloge poetica di Enrico Piccinini

6 Giugno 2023

Nella fisica epicurea il klinamen è la deviazione spontanea degli atomi nel corso della loro caduta nel vuoto in linea retta. E’ una deviazione casuale, sia nel tempo sia nello spazio, che permette agli atomi di incontrarsi e dunque di aggregarsi (formando così le cose). Dopo Epicuro il termine fu tradotto dal poeta Lucrezio con quello latino di “klinamen” al posto di quello greco “parenclesi”. Grazie al klinamen viene introdotto un elemento di spontaneità, un grado di libertà conciliabile – almeno in modo figurato – con la libertà umana. Lucrezio afferma: << Che la mente in tutto ciò che compie non abbia una necessità interna, che non sia sconfitta e costretta a sopportare, ciò nasce proprio dalla piccola inclinazione (klinamen) degli elementi che avviene in un momento e un punto indeterminati.

Questa breve introduzione (la definizione in generale) per tentare di spiegare, e di comprendere (in primis a me stessa e dopo al lettore) la silloge poetica di Enrico Piccinini. “KLINAMEN” è appunto il suo titolo, è stata pubblicata da ChiPiùNeArt Edizioni nel 2021 e fa parte de “le Haunie” una delle diverse collane di poesia di questa casa editrice. Il libro, tra le altre, ha anche questa particolarità: è stato tradotto in francese prima ancora di venire pubblicato nella sua lingua madre, ossia l’italiano, per cui a fronte vi è una bella versione in francese che è un piacere leggere per chi conosce, anche un pò, questa lingua. Fin dalla prima poesia di questa silloge, sono stata colpita in profondità da un qualcosa che non sono riuscita a definire subito … però un qualcosa che, ciò malgrado, mi risuonava come “familiare”; eccone il testo, Settimana Santa – IL PRIMO GIORNO. “Ho ammucchiato gli anni/come i morti s’ammucchiano./Di loro mi è rimasto/Soltanto un gesto/Non mio”. Cosa ha risuonato in me, profondamente, nell’approcciare questi primi versi? Direi un sentire quasi comune e un ascolto poetico che definirei solenne, e successivamente il linguaggio; il linguaggio, che è fondamentale in poesia. Sfogliando poi via via il volume fino all’ultima pagina, non ho avuto più dubbi: ho riscontrato quella sorta di “complessità semplice” della quale il poeta si serve per comunicare agli altri il suo ascolto dalla fonte primigenia del linguaggio.

Tutto quadra, diciamo, e, allo stesso tempo, tutto non quadra in “KLINAMEN” di Enrico Piccinini: non una struttura lineare, non una composizione conforme, non un’assonanza precisa e sicura come le lettere di un alfabeto; bensì un’intensità che va al punto, un dolore profondo che si nasconde e si mostra, una speranza che in fondo non viene meno, il Nulla che incombe ma non schiaccia, lo svelamento di una catarsi antica e perduta che addita senza indicare. Sembra allora che lo spazio – tempo siano saltati, lo spazio e il tempo normalmente conosciuti. Sembra che né lo spazio né il tempo abbiano più un valore probante per il poeta. Il suo percepire si inoltra in dimensioni altre ed esplora e scava con la volontà e la coscienza di farlo. Ciò che la fisica quantistica nell’ultimo secolo ha scoperto nei riguardi dell’atomo, cioè dell’infinitamente piccolo, può esservi paragonato: nella volatilità dello spazio – tempo, nell’indeterminazione dei confini e della loro rigidità, nell’inconsistenza delle regole fissate e stabilite una volta per sempre. Non per niente, credo, il fisico Guido Tonelli – fra gli scopritori del bosone di Higgs – da me intervistato su questo blog, ha paragonato la fisica quantistica, e il suo dispiegarsi all’uomo, alla poesia e a quel che i poeti sentono e vivono pienamente in e con tutto il loro essere.

LA SESTA NOTTE: “I fili dei capelli,/i salici in giardino,/le dita troppo magre,/i polsi disarmati, la lama delle unghie./Perché queste/non sono mani, né sono linee,/questa è la brutta/piega che prende/la fortuna./E questo sono io/oppure è una preghiera/che il male del canneto/continua a suggerire”. I versi si rincorrono. Il giorno e la notte si rincorrono. Gli attimi e l’Attimo che sembrano fuggire sono colti nel loro tormento o nella loro estasi; istante che non si piega, si afferra soltanto … libertà o caos. Libertà e Chaos, indistinguibili. Perché nessun concetto stabile è possibile più.  E poi il silenzio. E nel silenzio, e col silenzio, il notturno che mai si annulla e mai si ripete identico a se stesso.SILENZIO II: “C’era sangue./Adesso ho/un’ombra/nelle vene./Ma giuro:/c’era sangue/e una gola/sulla schiena/che non vuole/più parlare”. NOTTURNO I: “Gli spazi vuoti dei rami,/a seconda del vento,/stanno in silenzio/o dicono troppo./Ma tutto questo parlare/ha poco in comune/col tornare nel vuoto/in fuga veloce,/col dire e ridire/ch’era solo/un gioco innocente./Circola voce/che siano altri/gli intenti dei rami”.

Cosa si cerca veramente nella poesia? Cosa si cerca ancora in questo tempo convulso e distratto, indifferente e apatico, forse anche un pò distopico e inorgoglito? Nella poesia forse si cerca la verità sulle cose e sugli uomini. In questo tempo (proprio in questo tempo) si ha sete inconscia di poesia, e si cerca la sua sorgente smarrita e obliata per dissetarsene. Si cercano i frantumi di sentimenti, di valori, di passioni, di bellezza, di vita e di morte vissuti con l’anima e lo spirito per ricomporli in modo nuovo e in modi possibili e nuovi. PASSEGGIATA AI FORI ROMANI: “Guarda/la bascula/del giorno levante/e, preso alle spalle,/tu guarda/l’orizzonte reciso./Anche se non/ti riguarda,/guarda che odore letale/hanno le pietre votive/e che modo d’intendere/il resto ebbe/l’incurabile aria./Anche se/non ti riguardo,/occhio/allo sguardo in cagnesco/delle mie voglie randagie”. VENDETTA II: “Occhio per occhio/nell’orbita guercia/che avvicenda/pianeti a pianeti,/a resti di vigne su vigne,/a grumi di dita in saluto./Nel plagio del pendolo/e in quello dell’occhio/poco più eterno di Dio/oscilla l’addio”. INVERNO A PARIGI: “Tra la Senna e il suo specchio/resta un cieco cantore/a fischiare un’aria/viziata di gesso./Il passante distratto/non cambia opinione/sull’ombra sparita/che dentro gli torna/e nero rimane./Troppi giri han da fare/le guglie a Parigi/per credere meglio/in quel Cielo/ai balconi affacciato”.

Mi sono sentita strana dopo aver letto “KLINAMEN” di Enrico Piccinini. Strana sì, ma in un certo qual modo soddisfatta. A casa. La Poesia può superare tutto. E’ oltre e al di là di tutto.

Francesca Rita Rombolà

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