La consapevolezza di una catarsi universale e atemporale. Il romanzo “Cecità” di José Saramago

27 Marzo 2020

“(…) Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che non erano partite tutte quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev’esserci un problema meccanico, l’acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o un’avaria nell’impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta. Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vede il conducente dell’automobile immobilizzata sbracciarsi dietro il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere l’automobile in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano furiosamente sui finestrini chiusi, l’uomo che sta dentro volta la testa verso di loro, da un lato, dall’altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così, come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno sportello, Sono cieco”.

E’ l’incipit del romanzo “Cecità” dello scrittore portoghese José Saramago (1922 – 2010) Premio Nobel per la Letteratura 1998, e dal quale nel 2008 è stato tratto un film, “Blindness – Cecità”, diretto dal regista Fernando Meirelles, che ha aperto il Festival di Cannes dello stesso anno. “Sono cieco”, e da queste due parole ha inizio una vicenda incredibile quanto terribile, surreale quanto inconcepibile, inverosimile quanto irreale, angosciante quanto grottesca eppure reale, verosimile, concepibile, allucinante, possibile: un’intera metropoli prima, poi un’intera nazione e infine l’intero pianeta terra si ritrova vittima di uno strano morbo, preda di una stranissima pandemia, ossia la cecità. Una epidemia, o meglio, una pandemia mondiale di cecità che colpisce tutti: vecchi, giovani, adulti, bambini, maschi, femmine, ricchi, poveri senza distinzione alcuna. Lo si chiamerà, in tutto il romanzo, “il mal bianco” in quanto avvolge la sua vittima in un candore luminoso simile ad un mare di latte, o di neve. I colpiti dal “mal bianco”, per ordine delle Autorità, vengono rinchiusi in strutture isolate e costretti a vivere nel più totale abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato dal morbo. I protagonisti del romanzo vivranno situazioni estreme e picchi di escalation di aberrante inumanità, spesso “combattendo” una immane battaglia per non perdere la libertà(almeno quella interiore) e la dignità umana.Smarriti e indecisi, in una recita quotidiana che contempla l’inadeguatezza, la quasi paralisi decisionale da parte di tutti (di chi ha responsabilità politiche e sociali e detta legge, leggi drastiche e distopiche, e di chi deve rispettare e subire tali leggi).Dentro se stessi e perfino su se stessi scopriranno la repressione sanguinosa, la sopraffazione, la violenza più efferata, l’ipocrisia e l’incompetenza del potere, l’abbandono totale e il vuoto. Praticamente tutto ciò che un essere umano, o non più umano, può fare ad un suo simile o meno o può ricevere da un suo simile o meno quando ogni inibizione al male è saltata e impera sovrana una situazione sociale e umana prossima o già alle soglie della perdita assoluta non solo della democrazia ma addirittura della stessa civiltà.

Ancora una volta, ricorrendo al tema del morbo che falcidia vite e imperversa, la grande letteratura mostra all’uomo tutto il significante del suo essere metaforicità essenziale e composita, e dunque il suo portento e la sua funzione primaria nella vita. “Ma – direbbe José Saramago – L’uomo è cieco. Sì, molto spesso è cieco pur avendo la vista”, e non a caso, infatti, l’autore mette proprio queste parole, tratte dal Libro dei Consigli, “Se puoi vedere, guarda./Se puoi guardare, osserva”, nella pagina bianca che precede il romanzo. Forse il senso ultimo e il messaggio pregnante di “Cecità” sta anche in un paradosso nemmeno troppo oscuro o del tutto incomprensibile, e cioè che il mondo delle ombre o, più precisamente, dell’Ombra quale discesa nel proprio inconscio e subconscio inferi, sia a livello collettivo sia per ciascuno singolarmente, rivela molte cose sul mondo che “credevamo” di vedere. Chi sono allora i veri ciechi e chi i veri vedenti? Ogni logica umana perciò si ribalta (o è ribaltata), e remote, seppur molto vicine, risuonano le parole di Gesù nei vangeli: “Pur avendo la vista, essi son ciechi”.

Oggi sembra che una perniciosa quanto mortifera cecità del cuore, dell’anima, dello spirito e della mente avvolga gli uomini in molte (se non davvero in tutte) azioni, situazioni, decisioni, vicissitudini che essi compiono, prendono, vivono in ogni campo talvolta con conseguenze irreparabili e catastrofiche nell’indifferenza, nell’incomprensione, nell’ignoranza, nel lassismo, nel conformismo, nell’accidia dei molti.

“(…) Dalla finestra aperta, malgrado l’altezza del piano, entrava il rumore delle voci alterate, le strade dovevano essere piene di gente, la folla a gridare una sola parola, Vedo, dicevano quelli che avevano già recuperato la vista, Vedo, dicevano quelli che all’improvviso la recuperavano, Vedo, Vedo, comincia a sembrare davvero una storia dell’altro mondo quella in cui si era detto, Sono cieco (…), Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono (…)”

Le battute finali di “Cecità”, la cui scrittura, per tutto il romanzo, enuncia ancora una volta, l’adozione, da parte di José Saramago, di una specie di flusso di coscienza del tutto particolare e quasi tipico di ogni sua opera; frasi cariche di tutto quello che la letteratura alta comporta e trasmette da ché è stata creata ed esiste. La pandemia di “mal bianco” (e ogni pandemia reale o immaginata, storicamente avvenuta o letterariamente inventata) finisce, perché tutto in questo mondo finisce. Come sempre è successo nella storia dell’umanità, a memoria d’uomo, restano le macerie, le ceneri, la distruzione inerte e reale, le perdite umane, il nulla e il dolore di tutti e di ciascuno sui quali, chi è sopravvissuto, pur tra innumerevoli traversie e orrori, e riprende a vivere, dovrà lentamente edificare e ricostruire per un nuovo inizio. Un inizio nuovo. Vi è, in più, per chi ha compreso, davvero e profondamente, l’importanza dell’antitesi vista – cecità, la consapevolezza di una catarsi universale e atemporale che si è compiuta per tentare, ancora una volta, di migliorare e far progredire, interiormente e culturalmente soprattutto, l’umanità intera e l’uomo nella sua interezza.

Francesca Rita Rombolà

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