L’essenza dell’attimo nel poeta greco Mimnermo

31 Ottobre 2019

Mimnermo, nome mitologico quanto eroico – “Colui che resiste sull’Ermo”, fiume dell’Eolide.

Forse attribuito al poeta proprio a motivo di un suo avo in ricordo della sua partecipazione valorosa a una sua vittoria riportata dai greci a Smirne contro i lidi del re Gige in questa località – poeta, insieme alla poetessa Saffo e al poeta Ibico, fra i maggiori lirici greci.

Visse probabilmente fra la seconda metà del VII e l’inizio del VI secolo a. C. Fra tutte le sue liriche pervenute fino a noi la più famosa è di sicuro COME LE FOGLIE. Canto d’amore e morte, inno alla vita e lamento sulla morte che incombe e sulla vecchiaia che anticipa, con i suoi segni, lo stesso morire.

Versi di estrema dolcezza e di struggente malinconia. Aleggia la morte sul frutto maturo e forse ancora acerbo baciato dal sole e dalle brezze mentre si mostra in tutta la sua purezza. Sembra che la vita, nel suo massimo splendore, abbia in sè, potente e spietata, la morte.

Non bisogna meravigliarsi o scandalizzarsi poi tanto di ciò: è la tipica concezione greco – antica, che assegna alla morte il suo giusto posto accanto alla vita. Anche la morte è un frutto maturo che bisogna cogliere e mangiare gustandolo nell’attimo mai in un passato lontano o in un futuro incerto e ancora più lontano. Passato e futuro sono tempi che non esistono nella concezione greco – antica dell’Essere.

Il qui e ora è tutto. Non vi è ansia per ciò che è stato nè proiezione convulsa verso ciò che sarà. L’istante non sembra essere nemmeno più presente in quanto non viene compresso e non si concentra in ciò che avviene ed è nel tempo, ma in un esplicarsi di eternità non rapportabile alla dimensione temporale tipica della terra. Un senso di immortalità allora avvolge gli uomini e le cose proprio perchè, nel massimo fulgore della giovinezza e della vita, portano in sè, con altrettanta pienezza e forza, la morte. Ogni cosa dal nulla sorge e al nulla fa ritorno.

Lo spazio della vita è un attimo, troppo breve o troppo lungo, e quando la vecchiaia incombe già tutto si è consumato e ha raggiunto il suo culmine. “Baciato dagli dèi è colui che muore nel fiore degli anni” è il detto più popolare della Grecia antica, concezione di certo molto distante (e non solo nel tempo) da quella attuale nei riguardi della vita e della morte. Molto profonda anche, forse troppo profonda per la frivolezza e la superficialità della nostra era post – moderna e ormai prossima alla messa a punto dell’intelligenza artificiale nella realtà quotidiana.

COME LE FOGLIE

Al modo delle foglie che nel tempo

fiorito della primavera nascono

e ai raggi del sole rapide crescono,

noi simili ad esse per un attimo

abbiamo diletto del fiore dell’età,

ignorando il bene e il male per dono degli dèi.

Ma le nere Dee ci stanno a fianco,

l’una con il segno della grave vecchiaia

e l’altra della morte. Fulmineo

precipita il frutto della giovinezza,

come la luce di un giorno sulla terra.

E quando il suo tempo si è dileguato

è meglio la morte che la vita.

Francesca Rita Rombolà

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