La tomba del poeta

22 Febbraio 2023

La tomba del poeta parla? La tomba del poeta dice qualcosa a chi si ferma presso di essa anche per darvi un fuggevole sguardo soltanto? Sì, la tomba del poeta ha parlato in passato. E parla nel presente. Continua a parlare nel presente. Parla in un presente fuori dal tempo e in uno spazio che è forse un non – luogo o forse è proprio il luogo per eccellenza: il topos dell’anima e della memoria che sa trattenere il silenzio remoto nel già trascorso o remoto nel divenire, il topos dello spirito che percepisce ed anela, spera e vive andando sempre oltre. Oltre se stesso. Oltre l’effimero e il mediocre. Oltre la banalità e l’appiattimento. Oltre la vita e la complessità della vita. Ma soprattutto oltre la morte. E oltre il mito della morte.

Un tumulo, una lapide, un cippo, una cavità naturale nella roccia, un menhir o un circolo di pietre, un’urna o un loculo, un mausoleo, un sepolcro monumentale la tomba del poeta cattura e affascina, stimola alla riflessione immediata e induce a meditare su cose profonde e ultime. Non porta quasi mai al pianto o alla commozione. Le lacrime sembrano quasi superflue e assurde dinnanzi a chi, con i propri versi, ha sfidato l’eternità e nell’eternità è entrato varcandone la soglia con passo sicuro avventurandosi nell’ignoto come se si dirigesse dritto dritto nella raccolta intimità della propria dimora. C’è perfino chi va alla ricerca della tomba del poeta quando questa ufficialmente non esiste e gli annali della storia non se ne curano affatto o se ne curano poco e male, chi la raggiunge da pellegrino quale ambita e imperscrutabile meta di pellegrinaggio al pari di un santuario o di un tempio.

Muto è il dialogo fra la tomba del poeta e il suo visitatore determinato o occasionale. Muto nella lingua ordinaria degli esseri umani, nel linguaggio distorto e frivolo della quotidianità ma vivace e prolisso nei simboli e nella quiete, nei frammenti di estasi o di tormento taglienti come lastre rotte di vetro, negli sprazzi di luce improvvisa o di oscurità istantanea, nei lampi di chiarore o di tenebra che la presenza/assenza crea nel dominio dell’immaginifico.

La tomba del poeta indica. E’ segno. E’ significato e significante. E’ ermeneutica nascosta, radice del mistero dell’originarietà perduta per essere poi ritrovata, perché la tomba in sé è archetipo del femminile, forse l’archetipo femminile per antonomasia che avvolge e abbraccia, accoglie e riscalda, protegge e custodisce. E’ nascita e morte insieme al di là di ogni vissuto nel bene o nel male. Ci si inabissa nel nulla forse cantando, si cammina nel vuoto a stretto contatto con le paure più terribili e più micidiali per l’anima in una sorta di viaggio iniziatico per riconciliare il conscio con l’inconscio, la zona d’ombra con l’ampia radura luminosa.

Il poeta forse non è mai morto. In quella tomba, dinnanzi alla quale lo stupore e la meraviglia riportano il poetare, forse non vi sono ossa o polvere, ceneri e maschere funerarie. Forse niente è contenuto di reperibile, di doloroso trapasso, di sofferto sospirare notturno. Forse vi è solo vento, urlo, passione, libertà infinita ignara del cielo, della terra e della forma che i secoli e i millenni decreteranno. La tomba del poeta, alla fin fine, è una non – tomba, dolce suggello dei vivi con la fitta schiera dei morti … ritornano così le poesie lette tante volte e recitate altrettante volte in momenti, in ore, in giorni di tristezza e di oblio, di esaltazione e di rivolta, del poeta che adesso giace, spossato, e forse riposa stanco, forse dorme il suo sonno meno duro nella tomba, o grembo, che mai lo contiene completamente e veramente.

Era un giorno caldissimo di luglio di tanti anni fa quando, adolescente, dinnanzi alla tomba di due sommi poeti quali Virgilio e Giacomo Leopardi a Napoli – Mergellina scrissi di getto in un block notes alcune riflessioni spontanee e improvvise scaturite dalla mia anima in quei momenti intensi. Riporto le testuali parole scritte in quel giorno lontano:

30 luglio 1982

Ho visto la tua tomba e ho pianto, ho pianto tanto mentre le mie mani stringevano forte il freddo marmo del tuo mausoleo. Dalle alte rocce colavano giù rivoli di acqua limpida e fresca, gli uccelli cantavano festanti nascosti fra il verde degli alberi. Tutto intorno fiori, fiori e verde e acqua purificatrice e rupi antiche e un maestoso silenzio. La natura che hai amato e odiato ti ha accolto nel suo grembo, ormai da più di cento anni. Io per un attimo ho trovato la pace, tu forse l’hai trovata per sempre. Mi guardo intorno, giro lo sguardo … in un angolino un vaso di rose rosse freschissime; sì ti ricorderemo fino a quando il mondo intero non sarà finito. Son venuta a dirti che i kirghisi continuano a scorazzare da un punto all’altro della steppa siberiana, e la notte nell’immensità della steppa interrogano la luna senza ricevere ancora risposta. .. Una navetta spaziale è partita dalla terra con degli astronauti a bordo, in missione per l’Universo. Uno degli astronauti, seduto al suo posto di guida tra computers e robots, sta leggendo i versi de “L’Infinito” e si ricorda della sua terra natale con le sue valli, le sue montagne e rivive il gioioso tempo dell’infanzia … spazio ed astri, silenzi senza interruzioni, il vuoto, le voci si fanno lontane, si affievoliscono, si spengono; si va verso il Nulla, verso l’Infinito. Le ginestre si aggrappano ancora alla vita, nel grande deserto del mondo … Una lapide appena … forse un cippo di travertino. E’ questa la tua tomba? Ma forse non è qui la tua tomba. Forse non è da nessuna parte. E’ oltre le stelle. E’ oltre la stessa morte. Ecco gli ultimi versi di uno strano e grandioso epitaffio scelto e voluto quando eri ancora in vita: … Cecini pascua rura duces – Ho cantato la vita dei pastori, la vita dei campi, le gesta degli eroi e dei condottieri. Mi tremano quasi le ossa nel leggere queste parole somme scritte quasi duemila anni fa! E’ forse un destino essere poeta? Cosa può il Canto? Qual’è la sua forza?

Francesca Rita Rombolà

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