“La metafora è uno degli elementi trainanti dell’elaborazione letteraria e creativa”. Un dialogo con Vanni De Simone,scrittore,traduttore,editore,autore/regista di RadioRai

31 Gennaio 2024

Vanni De Simone, scrittore, traduttore e autore/regista di Radio Rai, vive a Roma; attualmente è direttore editoriale della casa editrice Elemento 115, di Roma. Fra i suoi lavori a RadioRai: “Nord – Sud”, recitativo Rock, 1989; “Beowulf”, elaborazione radiofonica musicale ispirata all’omonimo poema anglosassone, 1990; “Versimedia”, festival poetico, Roma, 1991. Fra le sue traduzioni: “Fiesta”, di H. Hemingway, Newton Compton, 1989; “Dizionario Oxford della Letteratura americana” e “Dizionario Oxford della Letteratura inglese”, Gremese 1993 e 1994; “Gli animali del futuro”, De Agostini, 2003, adattato per Rete Quattro, 2002 – 3; “Un racconto del XX secolo” di Ignatius Donnelly, Elemento 115, 2021. Come direttore editoriale di Elemento 115, E – Book Elemento 115: “La Terra del Popolo Volante”di R. Paltok, “Il Mondo di Cristallo” di W. H. Hudson; “Il Turbine Uamano”, di King Camp Gillette (inventore dell’omonimo rasoio), Elemento 115, 2018. Fra le sue opere di narrativa: “La Leggenda dei Fantasmi”, Sinegon, 1993, “Il Respiro dell’Orso Bianco”, DeriveApprodi, 2002; “Il Racconto degli Dei”, Elemento 115, 2019.

Francesca Rita Rombolà dialoga di poesia, di scrittura, di attualità con Vanni De Simone.

D – Vanni De Simone, scrittore, traduttore, autore/regista di RadioRai perché ad un certo punto del suo percorso artistico/professionale decide di fondare una casa editrice, Elemento 115, con un nome non molto, diciamo, usuale?

R – Un gruppo di ricercatori dell’Università di Lund, in Svezia, anni fa (2012) annunciò di aver prodotto trenta atomi dell’elemento chimico 115, un nuovo elemento che poteva essere inserito nella tavola periodica (l’ununpentio – Uup). Il risultato ottenuto ricalcava quello di un team di ricerca russo, che aveva già identificato l’elemento, anche se saranno necessarie altre e approfondite verifiche prima che sia inserito nella tavola periodica degli elementi. Il nome, al di là delle analoghe ricerche degli scienziati russi, pareva di buon augurio circa un equilibrio mondiale soltanto con la fine dell’URSS: tale scelta, anche a fronte degli attuali sconvolgimenti globali, continua ad essere, a mio avviso, di buon augurio: non bisogna mai perdere la volontà e la speranza di risolvere le controversie internazionali. Arrendersi al mainstream, politico o letterario, significa arrendersi a scelte di attori perdenti che non guardano al di là del loro naso, oppure perché proni a interessi che non coincidono con quelli della collettività. La scelta del nome fu, dunque, dovuta proprio al fatto che si trattava di un elemento ancora misterioso e denso di ulteriori scoperte. Elemento 115 intendeva essere una casa editrice curiosa e, in qualche modo, all’avanguardia, ad esempio, nella narrativa che, a mio avviso, ad oggi ha compiuto molti passi indietro rispetto ai grandi autori degli anni ’60 e ’70. La fondazione di Elemento 115, all’epoca, fu una scommessa a tutt’oggi ancora valida e aperta.

Informazioni tecnico – scientifiche sull’elemento 115. – Ogni elemento che compare sulla tavola ha un proprio numero atomico: questo corrisponde al numero di protoni che fanno parte del suo nucleo. Buona parte degli elementi più pesanti dell’uranio (che ha numero atomico 92) sono altamente instabili e decadono molto rapidamente ( i loro nuclei perdono man mano energia fino a raggiungere uno stato di maggiore stabilità), spesso nel giro di pochi secondi, diventando quindi molto difficili da trovare in natura. Per superare il problema e poterli studiare, i ricercatori devono perciò ricrearli in laboratorio facendo scontrare tra loro gli atomi per crearne di nuovi con nuclei più grandi. Studiando il modo in cui gli atomi decadono, possono scoprire se lo scontro che hanno prodotto abbia o meno portato al peso atomico desiderato.

D – Quando, per Vanni De Simone, realtà e finzione in letteratura si incontrano per dar vita ad un qualcosa di interessante in riferimento alla scrittura?

R – Domanda interessante, ma la cui risposta necessiterebbe un saggio (!). In parole povere, realtà e invenzione non sono elementi a sé stanti, qualsiasi testo letterario (in questo caso narrativo), ha all’interno entrambi gli elementi. Spinta al limite, questa riflessione porta a concludere che non esistono scritture “pure”, sia che le si consideri collegate alla realtà, sia che siano state elaborate nel campo della fantasia (fantascienza, noir ecc. ecc.): la creazione di un’opera d’arte è, di per sé, un parto della fantasia, anche se la si vuole inserire nel campo del “realismo”. Tantomeno possono esserlo opere che si situano nel campo della “fantasia”: c’è sempre una percentuale di realtà che deriva dalle esperienze dell’autore, dalle sue letture, dalla sua elaborazione creativa ecc. ecc. Direi che realtà e fantasia creano risultati interessanti quando i due elementi siano calibrati, e si incontrino, nel momento e al punto e con le “percentuali” giuste.

D – La metafora, secondo lei, è sempre imprescindibile per veicolare il messaggio recondito, e spesso personale, dell’autore nella “costruzione” di una vera/buona opera di narrativa?

R – La metafora è uno degli elementi trainanti dell’elaborazione letteraria e creativa: è la trasposizione in senso letterario di input all’inizio grezzi, che si raffinano in termini di scrittura. Ma ce ne sono molti altri. Mi limito qui ad inserire questo passaggio di Claudio Magris presente in “La Cultura del Romanzo”, Einaudi, 2001, che io condivido senza alcun dubbio, e che forse può contribuire a rispondere, anche se solo in parte, alla domanda, e dalla cui risoluzione credo che dipendano le sorti future di questo tipo di scrittura, che mai come ora ha bisogno di nuove frontiere; ritengo che ci sia stato un arretramento rispetto agli anni della Neoavanguardia:

“Il romanzo ( … ) è stata ( … ) la voce del moderno, la sua poesia, il suo tribunale, la sua contestazione. Ora tutto questo sembra finito, un karaokei a diversi livelli ha soppiantato ogni utopia e ogni rivoluzione e l’uomo stesso, come Nietzsche aveva previsto, sta radicalmente cambiando. E’ una mutazione che avviene in tempi rapidissimi, anziché in millenni come in passato. In un mondo in cui la bioingegneria sta creando << oltre – uomini >>, creature e specie di difficile definizione, in cui la virtualità sostituisce la cosìddetta realtà, in cui gli immateriali bit ( … ) sostituiscono gli atomi, che cosa può fare o essere il romanzo? Per ora sembra che quest’ultimo, in genere, rilutti a prendere atto di tale capovolgimento e anzi indietreggi rispetto alle grandi sperimentazioni narrative del passato prossimo. La media produzione romanzesca sembra fiorire rigogliosa, almeno sul piano quantitativo, nell’assoluta ignoranza del mondo e della sua trasformazione, nella tranquilla non presa d’atto della realtà; la maggior parte dei romanzi assomigliano a telefoni a cornetta. In questo senso il romanzo medio assomiglia sempre più – anche nella patina nobile dei sentimenti perennemente umani ostentati e garantiti come se niente fosse – a quei generi letterari invecchiati e stantii che il grande romanzo moderno, erompendo violentemente sulla scena, aveva spazzato via. In questa arretratezza o regressione c’è una resa alla ‘sterile potenza dell’esistente in quanto tale’, come scriveva Lukàcs negli appunti al mai finito libro su Dostoevskij, nelle opere del quale ( … ) egli vedeva e sperava il sorgere di un nuovo mondo riscattato dall’iniquità ( … ) e di un nuovo modo di raccontarlo. In luogo di questo nuovo epos utopico, un secolo dopo queste pagine di Lukàcs, sembra trionfare un supermarket politico – sociale di cui i romanzi – spesso remake della tradizione – sono prodotti secondari, ma apprezzati e smerciabili. Forse il romanzo finisce in una involontaria auto – parodia”.

D – Vuole parlare un pò delle sue opere di narrativa? Quale è stata la più sofferta, o la più difficile, da realizzare?

R – Credo che qualsiasi autore abbia molti problemi legati alla elaborazione delle sue opere, non credo che esista un testo più o meno “facile”. Personalmente sono molto lento, e scrivo e rielaboro il testo scritto un’infinità di volte, per cui non saprei dire quale sia stato quello più problematico o meno problematico. In un certo senso, sono stati tutti difficili, anche se, almeno per quanto mi riguarda, paradossalmente, una volta che nella testa si è creata la “spinta” a elaborare il testo; i problemi nascono dopo. dal grado della scrittura al linguaggio, al ritmo ecc. ecc.

D – Dei poeti e della poesia, senza riferimenti spazio – temporali, cosa ne pensa Vanni De Simone?

R – La Poesia è stata il mio primo e indimenticato amore. Tuttavia, anche questo genere è in affanno rispetto ai decenni passati. La Poesia, salvo nomi notissimi e storicizzati, viene pubblicata da piccoli editori soprattutto a pagamento, praticamente un settore referenziale. Negli anni ’60 e ’70 c’era una vera corsa alle scritture poetiche, e nascevano gruppi di lettura e di scambio molto vivaci e attivi, riviste autofinanziate, scambi letterari e dibattiti pure molto accesi nelle radio private. Non mi risulta che tale entusiasmo perduri a tutt’oggi, ma mi auguro di sbagliarmi.

D – Dove sta andando la società (occidentale e non) nel 2024, di sicuro verso cambiamenti profondi, globali ed epocali, vero?

R – Assolutamente sì, cambiamenti profondi e inquietanti, con venti di guerra sempre più violenti e prossimi. Non passa giorno che sulla stampa non ci siano allarmi circa la “guerra mondiale a pezzi”, per citare una famosa definizione di papa Francesco. Le ricadute le vediamo anche nel nostro universo quotidiano: inflazione, disoccupazione, mancanza di futuro per le generazioni giovani le quali sembrano, in un certo senso, lobomotizzate dietro social e cose del genere. Pare scomparso quasi del tutto qualsiasi stimolo al cambiamento dello “stato di cose” presente.

Francesca Rita Rombolà

Vanni De Simone

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