Assunta Decorato: la scrittura e i punti di rottura

17 Gennaio 2020

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Assunta Decorato è nata a Milano nel 1988. Fin da piccola si appassiona alle storie e, a sei anni, si iscrive alla biblioteca del comune in cui abita. La passione per la scrittura la spinge, da adulta, a partecipare a concorsi letterari. Dopo una laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Università degli Studi di Milano, lavora per tre anni come assistente di direzione. Si iscrive, in seguito, alla Scuola Holden di Torino. Inizia, quindi, a lavorare come content creator, correttrice di bozze e lettrice editoriale e poi, nel 2017, insieme a degli amici, fonda Narrandom, un blog letterario che unisce racconti e illustrazioni. Oggi lavora come copywriter in un’agenzia di comunicazione. I suoi racconti sono stati finalisti a diversi concorsi letterari e ha partecipato al romanzo collettivo “Repertorio dei matti della città di Milano”, edito da Marcos y Marcos. Nel 2018 ha pubblicato “Io e il re”, traduzione dell’opera teatrale di “The king and me” di Hanif Kureishi. Sta, attulamente, lavorando a un romanzo.

Francesca Rita Rombolà e Assunta Decorato hanno conversato insieme.

D – La letteratura di un paese straniero che ti piace di più.

R – La letteratura straniera che preferisco è quella inglese: l’ho scoperta nei primi anni del liceo leggendo autori contemporanei come Nick Homby, Jonathan Coe e Roddy Doyle, e poi via via sono tornata indietro nel tempo scoprendo i classici. Mi piaceva così tanto che è stata il motivo per cui ho scelto il mio corso di laurea in Lingue e Letterature Straniere. Oskar Wilde e Charles Dickens resteranno sempre fra i miei autori preferiti.

D – Hai fatto esperienza della famosa Scuola Holden di Torino per aspiranti scrittori, vero? I tuoi ricordi e le tue impressioni.

R – La scelta di iscrivermi alla Scuola Holden è stata abbastanza sofferta: sognavo di andarci da quando avevo finito il liceo, ma poi c’erano sempre dei motivi che mi trattenevano perché ciò avrebbe comportato la necessità di trasferirmi. La retta era molto alta, e poi non era ancora un corso di laurea come lo è diventato a partire da questo anno accademico, quindi avevo paura che fare solo il biennio, senza aver ottenuto una laurea prima, potesse non essere sufficiente per avere una formazione completa(e avevo ragione). Poi, però, dopo la laurea, ho avuto la fortuna di trovare lavoro in fretta perciò ho rinunciato all’idea di provare il test di ammissione. L’occasione è arrivata tre anni dopo quando mi sono resa conto che il mio lavoro non era quello che volevo, che scrivere solo per hobby non mi bastava più e che, stando tutto il giorno a fare lavoro d’ufficio, la mia creatività si stava un po spegnendo; in più avevo quasi ventisette anni e alla Scuola Holden ci si può iscrivere solo fino a trenta anni. Quindi era davvero ora, o mai più. Non potrei essere più contenta di così per aver fatto il test e di essere stata ammessa, perché è una scuola che mi ha cambiato la vita: non solo a livello professionale, in quanto mi ha permesso di diventare una copywriter, ma è proprio come se mi avesse spostato l’asse del cervello. Ho sviluppato un modo diverso di pensare e di scrivere, mi ha resa più curiosa e più critica, mi ha dato la voglia e gli strumenti di creare progetti miei e soprattutto mi ha dato la possibilità di conoscere persone meravigliose che avevano la mia stessa passione le quali mi hanno fatto crescere e con cui ho tuttora un rapporto speciale. Ma il regalo migliore è stato darmi la possibilità di passare due anni in cui tutto quello che dovevo fare era leggere e scrivere. Tornerei indietro subito!

D – Vuoi parlare del progetto di romanzo collettivo “Repertorio dei matti della città di Milano”, edito da Marcos y Marcos, al quale hai partecipato?

R – “Repertorio dei matti della città di Milano” è un progetto del 2015 di Paolo Nori, che prende spunto dal libro “Repertorio dei pazzi della città di Palermo” di Alajmo e che poi è stato declinato in diverse città d’Italia(non solo Milano, ma anche Bologna, Torino, Parma, Genova…). La differenza principale dal libro di Alajmo è che quello a cui noi ci siamo dedicati non erano i pazzi ma i matti, persone buffe con delle caratteristiche divertenti da far esplodere. L’ispirazione poteva arrivare ovunque: passando per strada, studiando i miei amici, guardando qualcuno che parla al telefono. Mentre io e gli altri scrittori del progetto lavoravamo al Repertorio mi ricordo che guardavo le persone in modo diverso ed ero sempre più consapevole del fatto che chiunque poteva finire in quel libro, infatti mi ci sono messa anch’io. Nessuno può scappare dalla definizione di matto. Eravamo una decina circa di scrittori, e ognuno di noi ha scritto tantissimi ritratti brevi di questi personaggi: ci eravamo dati delle regole in modo che avessero tutti una stessa struttura, e la sfida era sopprimere la voce di ognuno di noi in modo che, una volta mescolati i racconti, nel libro non si potesse distinguere chi aveva scritto cosa. Per me è stato interessante dal punto di vista della scrittura perché era la prima volta che mi confrontavo con un’opera a più mani. Il processo creativo è diverso, e fare in modo di avere un’uniformità, che era fondamentale per dare coerenza al libro, e quindi nascondere le mie caratteristiche di scrittura adeguandomi agli altri, ha significato mettere da parte me e scrivere come se non fossi io. Il risultato è stato incredibile: un libro spassosissimo da leggere, ma che soprattutto ci ha fatto molto ridere mentre lo scrivevamo.

D – L’opera teatrale “Io e il re” che hai pubblicato nel 2018.

R – “Io e il re” è la traduzione dell’opera teatrale “The king and me” di Hanif Kureishi. Si tratta di una traduzione a sei mani che ho realizzato insieme a due colleghe di università. La gestazione di questa opera è stata molto lunga, nonostante il testo fosse breve. L’idea era nata durante un seminario sulla traduzione teatrale, che ci ha spinte a cimentarci con la traduzione collettiva di un’opera che non era ancora stata tradotta in italiano. Hanif Kureishi era un autore che avevamo letto e studiato durante le lezioni e che in Italia non è molto conosciuto come autore teatrale ma è più noto per i suoi romanzi come, ad esempio, “Il Buddha delle periferie” Il testo di “The king and me”, nonostante abbia più di trenta anni, affronta dei temi che sono terribilmente attuali, e poi parla di musica e di un’icona senza tempo come Elvis presley, oltre a infinite discussioni, anche sulla traduzione di un singolo termine, che ha fatto nascere in noi domande importanti sul tempo, sulla notorietà e sulla fascinazione che una persona nota può avere su un pubblico, ma anche sull’insoddisfazione di una vita “banale”, sulle difficoltà economiche e sulla costante voglia di evadere. Abbiamo presentato il nostro testo in occasione di Bookcity 2018 insieme a due attori che lo hanno letto. E’ stato molto emozionante.

D – Come sarà il romanzo che scriverai, o che stai già scrivendo?

R – Quando scrivo mi piace parlare dei punti di rottura, dei momenti in cui il protagonista è costretto a riflettere su se stesso e a decidere chi vuole essere e cosa portare con sé. Il romanzo che ho scritto non fa eccezione: ho voluto affrontare un tema che mi sta molto a cuore proprio perché lo temo, che è il silenzio, e ho voluto scavare per capire quanto può ferire e quanto dolore può causare il silenzio, l’incapacità di parlare anche con le persone più vicine. Oltre al silenzio parla anche di paura, di relazioni padre/figlio, di follia e soprattutto di un posto per me speciale, la Scozia, che con i suoi colori, la sua bellezza e il suo silenzio è il luogo ideale per concentrarsi su di sé.

D – Una poesia i cui versi porti profondamente nel cuore.

R – “Tutti i nostri incontri

Si sono svolti nel segno affannoso

Della zucca

Perché anche alle sei del pomeriggio

O alle undici e un quarto di mattina

Mancava sempre un minuto a mezzanotte”

E’ una poesia che fa parte della raccolta “Cento poesie d’amore a Lady Hawke” di Michele Mari.

Francesca Rita Rombolà

Assunta Decorato

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