Versi spezzati e incerti di una poesia, frammenti dispersi e lacerati di un poema oltre il Tempo

30 Settembre 2022

Il cielo è bianco. La terra è bianca. L’aria è freddissima. Il mondo ha vissuto la sua apocalisse ormai da tempo. La civiltà è scomparsa dalla faccia del pianeta. Spazzata via forse da una guerra atomica, forse da un’immane catastrofe naturale o forse perfino di origine extraterrestre. La vita si è quasi estinta. La varietà di colori, con le loro molteplici sfumature, che caratterizzavano le terre emerse, è scomparsa. La fauna e la flora terrestri, evolutesi in milioni di anni, non esistono più. Era un pianeta meraviglioso la terra, il terzo di un sistema solare collocato non troppo al centro di una galassia come ve ne sono centinaia o anche migliaia in tutto l’Universo conosciuto o sconosciuto. Un pianeta meraviglioso la terra sì. Per il solo fatto che vi era la vita: forme di vita via via sempre più complesse fino a raggiungere quella umana, la più completa e complicata, la più enigmatica, la più sublime e, allo stesso tempo, la più controversa e la più contraddittoria, che si potesse mai immaginare e realizzare.

Ma adesso è tutto finito … in questo ammasso sferico di macerie, di ceneri, di polveri radioattive, di strati su strati di scheletriche rovine, di inumani silenzi, di urla di dolore inascoltate, di desolazione infinita e di abominio cosmico che è diventato il pianeta terra si muovono sparuti gruppi di esseri che, in giorni remoti, sono stati umani. Errano senza meta, senza illusioni e, forse, senza più un briciolo di speranza. Per sopravvivere forse si sono nascosti nel ventre di caverne celate a ogni sguardo e a ogni sospiro o in sottosuoli profondissimi dove la luce o le tenebre non hanno nemmeno più significato. Il vento mortale sferza i loro volti impavidi e circonda i loro occhi spenti. Cosa cercano ormai più? E perché si muovono, camminano, quasi a voler sfidare la morte che intorno e sopra di loro aleggia sovrana?

E’ un’eterna notte. Buio è divenuto il mondo. Tenebre e freddo lo avvolgono. Freddo. Perché non vi è più calore alcuno. Lungo e impietoso è l’inverno nucleare quando giunge, si insinua, si rafforza, prende dimora stabile negli abissi del mare come nelle altezze dei cieli. Freddo. Ancora e sempre freddo. Freddo. E nessun fuoco che riscalda. Il fuoco non è più. Neanche il concetto stesso di fuoco fa capolino dalle menti traumatizzate di quanti sono sopravvissuti alla cieca furia e al suo inverosimile potere di distruzione. Dovrebbe esistere o prender vita un nuovo Prometeo, pronto a rubare il fuoco agli dei per donarlo agli uomini impietosito dalla loro erranza e dalla loro misera sorte. Ma Prometeo è stato sempre e solamente un mito, e i miti nascono dalla memoria e dall’ingegno degli uomini.

Si fermano per riposare. Si siedono presso rocce surreali. Qualcuno apre la bocca. Le labbra schioccano in un sussurro. Fuoriescono parole. Forse reminescenze antiche sopite e custodite fino all’inverosimile.

“Cantami, o Diva, del pelide Achille …

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

che la diritta via era smarrita …

Ecco che nel sogno mi parve forse

vicino a me, davanti agli occhi,

Ettore mestissimo …

Il signore del Reno rivestì i suoi guerrieri

per la festa di corte …

Scosse il mio Cid le spalle

e crollò il capo,

mio Cid Rui Diaz entrò in Burgos …

E il naufragar m’è dolce in questo mare …

Mi illumino d’immenso …”

E la stanchezza diminuisce un poco. Il freddo si smorza appena … e ci si accorge di essere ancora vivi, ma soprattutto di essere ancora umani. E’ solo un probabile scenario futuro ovviamente, ma non del tutto impossibile, creato dalla fervida immaginazione di un poeta troppo folle, troppo visionario o troppo solitario. Ma, di certo, i versi spezzati e incerti di una poesia, i frammenti dispersi e lacerati di un poema possono riaffiorare, alla memoria e da un inconscio collettivo vagamente, all’improvviso dalle epoche e dalle ere trascorse, vissute, passate dell’umanità, perché si riesca a riacquistare, soltanto e tremolante, la vana speranza di non sentire il freddo, di non soffrirlo atrocemente insieme ad un intero pianeta che muore o è ormai morto; la vana speranza, forse, di un nuovo timido inizio, seppur indistinto e ancora imprigionato dalle coltri spesse della temporalità oltre il Tempo.

Francesca Rita Rombolà

Nessun commento

Lascia un commento

Poesiaeletteratura.it is Spam proof, with hiddy