Gabriele Giuliani è scrittore, editor freelance per la narrativa, docente di scrittura creativa. Ha pubblicato diversi libri di narrativa fra i quali: “Le tre vie” (Les Flaneurs Edizioni, 2024), “La vita tragicomica” (Augh! Edizioni, 2019), “Il palazzo dei sette portoni” (Bertone Editore, 2020″, “Il giorno prima delle nozze” (Montag Edizioni, 2018). Tra il 2023 e il 2024 Gabriele Giuliani ha iniziato una serie di lezioni di scrittura creativa e incontri con le scuole per parlare di narrativa e di stili di scrittura.
Francesca Rita Rombolà dialoga con Gabriele Giuliani intorno alla narrativa e alla poesia.
D – Gabriele, vuoi parlare dei tuoi libri di narrativa?
R – Ciao Francesca, grazie di avermi invitato in questa rubrica. E’ per me un piacere rispondere alle tue domande. Dunque, i miei libri. Parafrasando Oriana Fallaci, faccio un po’ di fatica a considerarli solo dei libri, specialmente nell’accezione che la società di oggi gli attribuisce (siamo, infatti, passati da oggetto di cultura a prodotto di consumo), per me quei testi sono come dei figli, un qualcosa a cui sono talmente legato da sentirli sempre vivi. In parte questo è un errore, i libri, una volta dati alle stampe, diventano dei lettori, li dobbiamo lasciare andare per la loro strada, farli leggere da altri occhi, giudicare da altre menti. E’ il loro destino. Ma noi autori siamo come dei genitori ansiosi, e non smettiamo di guardarli da lontano assicurandoci che non gli accada nulla di brutto. Il mio rapporto con i testi pubblicati è un cordone ombelicale che si dilata ma non si spezza. Detto questo, i miei libri sono molto vari tra di loro perché a me piace sperimentare, non amo fossilizzarmi su un solo genere e rimanere li per un’eternità di parole, anche se questo è un rischio editoriale. Così il mio esordio letterario dell’ormai lontano 2018, “Il giorno prima delle nozze”, pubblicato per una piccola casa editrice NO EAP, era una sorta di romanzo – saggio sulla società di oggi, sulla frenesia che ci avvolge, del tempo che ci sfugge opposto a una storia familiare complessa. Nonostante siano passati anni, è un testo che conserva una sua attualità. Il secondo, uscito nel 2019, era una raccolta di racconti, “La vita tragicomica”, dove ha trovato sfogo la mia vena surreale e grottesca figlia di anni di letture di maestri come Pirandello, Buzzati, Campanile. Li mi sono divertito a dare voce ai vinti, agli sconfitti, agli eterni secondi. Una carrellata di personaggi destinati a non vincere mai, e proprio per questo dei veri eroi da seguire e ammirare, dato che rappresentano tutti noi, gli eroi silenziosi di una società che acclama solo i vincitori. Casa editrice Augh! Edizioni. La mia evoluzione e il mio cambiamento sono poi proseguiti con il secondo romanzo (e terzo libro), “Il palazzo dei sette portoni”, una storia sempre in bilico tra realtà e illusione, scritto come un giallo e con un enigma da risolvere. Accanto al protagonista, un notaio cinico e spietato che ricorda uno Scrooge di dickensiana memoria, ho piazzato un coprotagonista inanimato: il palazzo stesso oggetto della storia, edito dalla Bertone Editore. Nel 2020 ho ripreso le strade del surreale con “La vita sempre più tragicomica”, ancora per la casa editrice Augh! Edizioni, dove però non è più solo la surrealtà il carattere dominante, infatti l’umanità del testo si sposa con storie più varie dove si toccano aspetti e generi come la disabilità, il thriller, la comicità pura, la nostalgia. Forse la mia opera più completa. Sempre su questa scia, ho partecipato al progetto “La giornata dell’ornitorinco”, edito da Fides Edizioni del gruppo Les Flaneurs Edizioni, una serie di cinque racconti per tre autori per un totale di quindici racconti più uno scritto a sei mani che accompagnano il lettore durante l’arco della giornata (mattina – pomeriggio – sera – notte) in avventure strane e mirabolanti ma spesso comiche. La particolarità dell’animale ornitorinco sottolinea bene il carattere dell’antologia. Scritto insieme a Giuseppe Grosso Ciponte e William Bavone. Infine, la mia sesta e ultima fatica nel maggio 2024, in anteprima al Salone del Libro di Torino, il thriller esoterico e gotico “Le tre vie” interamente ambientato a Roma. La mia incursione nel genere, che è anche un omaggio alla mia città, e con un livello di complessità di scrittura maggiore, dato che ci sono più protagonisti, più voci narrative e personaggi secondari anche loro con una propria voce narrativa, edito da Les Flaneurs Edizioni. Tutti questi testi, uniti a svariate antologie in cui sono entrato come autore, consulente o editor, rappresentano il mio amore per la scrittura, lo studio ad essa dedicato e la passione che l’accompagna. Per questo non sono “solo” libri, ma una testimonianza del mio impegno e della mia dedizione.
D – Che cos’è veramente la scrittura creativa per Gabriele Giuliani che tiene lezioni di scrittura creativa e incontri con le scuole per parlare di narrativa e di scrittura?
R – A mio avviso, la scrittura creativa è un mix tra fantasia d’autore e rigore tecnico. Per molti dei partecipanti ai miei corsi di scrittura questo è un assunto difficile da comprendere all’inizio. Eppure, alla fine del corso, la maggior parte di loro ha compreso come l’estro e la fantasia rappresentino solo una parte del processo. L’idea di essere pervasi dall’ispirazione o guidati dalla grande idea sono miti da sfatare. Forse può accadere un paio di volte nella vita, e anche in quel caso senza tecnica non si va lontano. La scrittura esige un grado di applicazione e di tempo notevoli, non si improvvisa; i grandi best seller così come molti classici sono il frutto di anni di scrittura, di revisioni non il risultato di un’ispirazione fulminea che fa scrivere come forsennati dimenticandosi del mondo circostante. Certo, è ovvio che non bisogna solo spingere il lato tecnico altrimenti, come dico spesso ai miei corsi, si rischia poi di scrivere testi tecnicamente perfetti ma vuoti, senz’anima. Alla base c’è bisogno comunque di una buona storia da raccontare (da non confondere con l’idea o ispirazione) e di personaggi credibili. Prendete una buona storia, aggiungete l’uso mirato delle tecniche, conditele con una grande passione, mescolate tempo e sperimentazione e otterrete la ricetta di scrittura creativa. Inoltre, credo che oggi un corso di scrittura debba contemplare aspetti che vadano oltre le sole tecniche di scrittura, ed è quello che cerco di trasmettere nelle mie lezioni come, ad esempio, una conoscenza del mondo editoriale. Quello che però va compreso bene è l’aspetto tempo. La scrittura non è un gioco richiede impegno, dedizione e tanto, tanto tempo. Non ci si improvvisa scrittori, ci si diventa, altrimenti saremo solo dei racconta storie o degli imbrattacarte.
D – Sono tempi “stimolanti” questi primi decenni del ventunesimo secolo riguardo la possibilità del narrare?
R – No, forse potenzialmente lo sarebbero, ma vedo una grande desolazione soprattutto per i generi e i temi trattati. Si sta monopolizzando la narrativa sul dolore e gli affanni, ma non è solo questo lo specchio dei nostri tempi. La realtà quotidiana è altro. Mi interrogo spesso sulla responsabilità di un autore oggi, sia sullo stile delle sue opere che sui temi. Credo che lo scrittore abbia un dovere e una responsabilità verso i lettori e la società, ma qui il discorso si fa complesso e il terreno diventa minato. Trovo che stiamo sprecando una grande occasione. Il nuovo secolo, e addirittura per noi il nuovo millennio, avrebbe dovuto essere un’opportunità incredibile di rinnovamento e stimoli. Noi, invece, viviamo ancora sui tenui bagliori di quella narrativa che è stata grande ma che ora si è imbruttita, asciugata, inaridita, e guardiamo indietro, alla testimonianza degli autori fino alla seconda metà del Novecento che ci hanno lasciato un ritratto fedele dei tempi, pur nella diversità delle opere. Penso a Pavese, Manganelli, Buzzati, Tondelli, Campanile, Calvino, Flaiano … E consideriamo anche le molte opere di fantasia di questi autori per sottolineare l’astrazione dalla realtà quotidiana. Oggi stiamo lasciando un’eredità di commissari e ispettori o di periferie disagiate con rapporti conflittuali tra genitori e figli, oppure di lunghi monologhi di sé in biografie romanzate degli autori. Eppure esistono altre realtà. A volte sogno che diventi un best seller la vita di un impiegato del catasto, almeno sarebbe aderente alla quotidianità! Battute a parte, oggi la strada intrapresa è quella della fiction; sono andamenti decisi dal mercato, la voglia di rischiare è meno prevalente e quindi si spreme un filone finché il pubblico lo segue. Invece il mondo sta cambiando così in fretta ma la narrazione stenta ad andargli dietro, dedita all’intrattenimento e a massimizzare i profitti nel minor tempo. Ecco perché la durata di un libro è di un paio di mesi. Speriamo che la tendenza cambi ma non sono ottimista. Però sarebbero tempi oltremodo interessanti da raccontare vedendo le trasformazioni del mondo.
D – Quando la scrittura, secondo te, raggiunge (o ha raggiunto) lo stile se non sublime o prefetto quantomeno felice, positivo?
R – Dipende dall’ottica con la quale guardiamo. Parliamo dello scrittore o del lettore? Sai, la cosa cambia molto a seconda del punto di vista. Lo scrittore non sarà mai contento del risultato ottenuto, se è un serio professionista troverà sempre qualcosa che non va nello scritto, qualcosa che si poteva migliorare. Del resto, un testo è sempre perfettibile. Per il lettore, invece, un esito positivo e felice avviene ogni qualvolta al termine della lettura è contento, soddisfatto, o magari il suo opposto: triste perché l’avventura è finita e lascia vecchi amici o personaggi a cui si era affezionato. O, magari, e questo sarebbe il sogno di ogni scrittore, perché lascia la bellezza di parole e suggestioni evocate con maestria. A me è capitato con la lettura de “Le città invisibili” di Calvino molti anni fa, credo che quel testo rappresenti molto bene uno stile perfetto, una sintesi di maestria, stile, fantasia e lessico portati al massimo livello. Quello è un esempio di quando un testo raggiunge il massimo della perfezione possibile.
D – Poesia e scrittura … o soltanto poesia quando si compongono dei versi?
R – I versi contraddistinguono la Poesia sì, ma trovo che il confine sia labile. Molte volte i versi più articolati diventano pensieri, mini racconti. Penso spesso che poesia e narrativa siano stretti parenti ma che si frequentano poco, e questo perché hanno strutture diverse ma finalità simili. Entrambe suscitano emozioni, ci devono far ridere, piangere, riflettere e soprattutto “pensare”. In un’epoca in cui l’AI rischia di farci atrofizzare, il ruolo della scrittura, poesia o narrativa, dovrebbe avere questo fine principale: pensare, suscitare emozioni positive o negative che siano.
Francesca Rita Rombolà
Gabriele Giuliani
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