Il senso latente di epopea e il grande cuore pulsante di “verace e primigenio americano”. “Racconti di Nativi Americani – Luther Standing Bear Il mio popolo i Sioux – My People the Sioux” a cura di Raffaella Milandri

10 Gennaio 2023

Ho appena finito di leggere il libro “Racconti di Nativi Americani – Luther Standing Bear  Il mio Popolo i Sioux – My People the Sioux” a cura di Raffaella Milandri (Mauna Kea Edizioni, dicembre 2022). Un libro davvero intenso, piacevole da leggere e direi piuttosto inusuale, per non dire di una certa novità nel panorama editoriale non solo italiano. Innanzitutto Raffaella Milandri: studiosa e appassionata della cultura dei nativi americani, in particolare dei Sioux – Lakota; si percepisce, fin dalle prime pagine del libro, un’empatia sottile quanto intensa di questa autrice – studiosa nel modo di rendere il racconto preciso e insieme vivace nella traduzione dei particolari, dei paesaggi, della vita, della realtà inerenti questo popolo del nord America.

Un qualcosa di profondo e di accattivante eppure di una semplicità quasi disarmante permea il racconto della vita (straordinaria sì) di Luther Standing Bear, figlio di un capo Sioux del Nord Dakota, vissuto tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Con lui i popoli nativi del nord America riescono ad aver voce e a farsi conoscere dai “bianchi” portatori (spesso con la coercizione e con la forza anche bruta) di una civiltà che può apparire, a prima vista, superiore, per via della tecnica, ma che in fondo non lo è affatto. Bellissime le descrizioni che Luther Standing Bear fa del suo villaggio e della vita che vi si svolge: un brulicare gioioso, spontaneo e naturale di allegria e di dolore, di pianto e di riso, di lucidità e di pacata consapevolezza unite a una saggezza ancestrale che l’uomo bianco ha ormai perso da tempo, che coinvolge l’intera comunità composta da vecchi, giovani, donne, bambini, uomini i quali hanno tutti un ruolo partecipativo e attivo al suo interno senza gerarchie di comando e ruoli marcati di sopraffazione dell’altro insieme al senso dell’onore e del rispetto molto alti presso i Sioux – Lakota. Alcuni brani tratti dal libro possono forse rendere meglio l’idea: “( … ) I vecchi della tribù partivano per primi a piedi. Erano sempre davanti e dipendevano da loro. Erano esperti e conoscevano perfettamente la conformazione del terreno. Se la partenza avveniva prima dell’alba, era bello vedere il bagliore dorato del giorno che stava per arrivare. Allora i vecchi si sedevano per aspettare l’alba, mentre il resto di noi stava in piedi, tenendo i cavalli. Uno degli uomini accendeva la pipa e, quando il sole si affacciava all’orizzonte, l’intera tribù si fermava, mentre iniziava la cerimonia del Grande Spirito. Era un’occasione solenne, perché l’anziano teneva il fornello della pipa con entrambe le mani, e verso il cielo, poi verso l’est, il sud, l’ovest, il nord e infine verso la Madre Terra. Durante questa cerimonia veniva lanciato un appello al Grande Spirito; gli uomini fumavano, dopodiché la pipa veniva riposta ”  ( Capitolo II. IL TIPI, pag. 36). “( … ) Quanto sono diversi i metodi del “grande uomo” tra i bianchi di questi tempi! Prima di entrare in carica è pronto a promettere tutto e il contrario di tutto a coloro che possono metterlo lì con i loro voti. Ma mantengono le loro promesse? Direi proprio di no! Dopo essere stati eletti, la prima cosa che fanno è quella di arricchire il proprio “nido” e quello delle proprie famiglie. Ma il loro capo Indiano, senza alcuna istruzione, era almeno onesto. Quando si mandava qualcosa alla sua banda, la si riceveva. La sua famiglia non veniva prima di tutto. Non riceveva alcun stipendio. In caso di guerra lo si trovava sempre al comando, ma quando si trattava di ricevere regali, il suo posto era nelle retrovie. Non c’erano strette di mano, sorrisi e “saluti” che non significavano nulla ” ( Capitolo V. IL MIO PRIMO BISONTE, pag. 72).

Dotato di una intelligenza e di un coraggio fuori dal comune, Luther Standing Bear ha un approccio positivo con il mondo creato dalla civiltà anglosassone del nord America. Frequenta la scuola americana, impara bene l’inglese, osserva il mondo veloce ed esuberante che lo circonda e apprende; apprende ogni cosa, perché ha compreso che il futuro appartiene, fin da allora, a quella grande nazione che sarebbero diventati gli Stati Uniti d’America. La sua vita sarà ricca di esperienze, di novità, di umanità e di lotta pacifica per l’integrazione fra la cultura dei nativi e quella dell’uomo bianco venuto da lontano. Splendido, quasi quanto un piccolo gioiello, questo breve passo tratto dal Capitolo XII. SUN DANCE, pag. 128: “( … ) La Danza del Sole è iniziata molti anni prima che Cristoforo Colombo arrivasse su queste terre. Allora sapevamo che c’era un dio al di sopra di tutti noi. Chiamavamo Dio “Wakan – Tanga”, o il “Grande Spirito”, o a volte “Grande Padre”. Voi lo chiamate Dio Padre. Ve lo dico perché voglio che sappiate che questa danza era la nostra visione religiosa. Era una danza sacrificale”.

Con tristezza, con dolore e un certo risentimento e tuttavia con l’imparzialità e il distacco quasi dello storico di professione, egli ricorda e descrive minuziosamente il massacro della sua gente, per opera dei soldati americani, a Cut Meat Creak; una pagina non brillante e di sicuro vergognosa per la ( giovane ) democrazia americana faro dei diritti dei popoli e delle persone per il mondo intero. Ecco uno stralcio della straziante descrizione che luther standing Bear ne fa nel libro: ” ( … )  Ehi, ehi! Cosa ci fate tutti voi uomini qui? Non sapete che i soldati hanno portato via tutte le nostre donne e i nostri bambini da Cut Meat Creak? Perché ve ne state seduti qui a non fare niente? ( … ). La mattina seguente arrivò la notizia del terribile massacro dell’intera banda di Big Foot. Uomini, donne e bambini, persino i neonati furono uccisi tra le braccia delle loro madri! Questo fu eseguito dai soldati. Secondo la storia dell’uomo bianco, questa fu conosciuta come la “battaglia” do Wounded Knee, ma non fu una battaglia. fu un massacro, un’ecatombe” ( Capitolo XXI. LA GHOST DANCE, pag. 236 – 239).

Ho apprezzato molto questo libro leggendolo tutto d’un fiato. Penso che tutti lo dovrebbero leggere, anche quelli che non sono interessati alla cultura degli indiani d’America in quanto le emozioni che trasmette e il senso latente di epopea che sa instillare nel lettore sono motivi sufficienti per intraprenderne la lettura. Mi piace concludere proprio con un brano del libro tratto dal Capitolo XXVI. CITTADINANZA AMERICANA, pag. 301 che mette in evidenza, nelle battute quasi finali, la temperanza, la lungimiranza nonché, appunto, la saggezza e la sua mente aperta, il suo grande cuore pulsante di “verace e primigenio americano” di un capo Sioux – Lakota, figlio di capi e forse discendente di una lunga stirpe di capi. ” ( … ) La nostra tribù, i Sioux, è oggi la più numerosa degli Stati Uniti e durante la guerra mondiale più di ottomila dei nostri ragazzi hanno attraversato la frontiera. Sentiamo di aver fatto il nostro dovere verso la terra che apparteneva davvero ai nostri padri e che è la nostra terra della nostra origine. E’ nostra e siamo sempre pronti a proteggerla contro qualsiasi nemico “.

Che sia l’acqua che sia il fuoco

a far risplendere la terra

col vento che lontano

reca la neve dei monti

nel vento che ritorna

sulle argute cime delle foreste

e riduce l’orgoglioso grido degli uomini.

Grande è il sole

sopra l’alveo della montagna

libero è il calpestio delle praterie sconfinate.

Nel suo sonno invernale sussulta

la criniera del bisonte,

laggiù egli pascola l’erba del sogno.

Quando sul mio cavallo

percorro le piste

e sento gli scrosci dei torrenti

e odo i canti e la risata

di donne senza volto vedo la bellezza

che mai nessuno vide,

e respiro il profumo di un fiore

che mai alcuno ha respirato,

perché impavido cavalcai nelle lune nascenti

e non mi fermai.

E sia il fuoco e sia l’acqua,

come il vento degli anni,

sulla terra,

la voce segreta del Grande Spirito

nell’immenso palpitare dell’uomo.

Espressione poetica di Aquila delle montagne, Capo – guerriero Sioux

Poesia tratta dalla silloge poetica “Alba, sul ponte sospeso” (anno 1994) di Francesca Rita Rombolà

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