Il mite e sereno ottobre mediterraneo nella poesia di Juan Ramòn Jiménez

Juan Ramòn Jiménez (1888 – 1958) nacque nella regione spagnola dell’Andalusia ( nella città di Moguer). Ancora giovanissimo fu attratto dalla pittura e dalla poesie, che trattò sempre con uno spiccato gusto moderno e pienamente innovatore; coltissimo, alternò periodi di isolamento e di solitudine nel paese natale a viaggi in Europa e nelle Americhe. Allo scoppio della guerra civile spagnola, riparò in Portogallo, dove morì a San Juan. La sua poesia riflette, in genere, motivi dello straordinario e colorato folklore andaluso, ed è caratterizzata da una purezza e una semplicità del linguaggio davvero sorprendenti  e molto efficaci, che sanno cogliere anche le più sfuggenti e sottili vibrazioni dell’animo e da una intensa vena malinconica che da vita a dei versi talvolta opulenti e sontuosi e talaltra piuttosto lineari quanto marcatamente essenziali. Pochi anni prima di morire, cioè nel 1956, egli ricevette il Premio Nobel per la Letteratura. Nella poesia “Ottobre” Juan Ramòn Jiménez sembra aver raggiunto, spiritualmente ed emotivamente, una calma e una serenità impensabili fino a pochi anni prima. La dolcezza della stagione autunnale dei paesi mediterranei accarezza con levità il suo cuore stanco e provato, donando sollievo ad uno sguardo profondo reso dolente dalle cruente battaglie di una…

I poeti americani e la città di New York: inferno o paradiso?
000 Primo piano / 12 Ottobre 2022

Il mito di New York, per gli americani, nasceva già nel 1661 quando si chiamava ancora New Amsterdam; venne celebrata dal suo primo poeta, Jacob Steendam, come la sede, o il luogo, di un benessere naturalmente e positivamente aureo e forse paradisiaco: enorme giardino stretto fra due fiumi che si riversano nel mare, ricco di pesce oltre ogni misura, di latte, di burro, di frutta, del frumento migliore; insomma un vero giardino dell’Eden. Walt Withman, giungendovi nel 1841, dedicò alla città di New York alcune fra le sue poesie più belle, cantandone, con spirito curioso di osservazione, la sua vivacità spasmodica, il suo movimento inarrestabile di persone e di oggetti, di merci e di idee. Lo stesso farà anni dopo il poeta Frank O’Hara. Anche il poeta Allen Ginsberg, il maggiore e il più importante della Beat Generation, ripropone la New York caotica fatta di bidoni, di scale antincendio, di vetri rotti, di gente di colore e di ispanici (immagini quasi cult di molti film famosi, di fumetti, di videoclip di cantanti rock e pop), accompagnato però da un morboso desiderio di poesia in fondo unica realtà possibile e umana in un mondo minacciato perennemente dalla perdita di sé e…

Questa mirabile strada in salita, in arrampicata, tra voragini e abissi. Una lettura illuminante di “OCEANO IRRAZIONALE – Cronache di uno psicoterapeuta” di Matteo Maria Bonani

Ho appena finito di leggere il libro di Matteo Maria Bonani, “OCEANO IRRAZIONALE – Cronache di uno psicoterapeuta” (MAUNA LOA Edizioni, 2022). Un libro piuttosto interessante e, direi, appassionante. Oltre a definirlo una specie di avventura personale, che ha inizio dalla nascita dell’autore, la seconda parte si snoda in un percorso doloroso e di sofferenza nella condizione umana riguardo la malattia mentale e culmina con la coscienza di Matteo Maria Bonani il quale ha finalmente raggiunto la meta che forse non si prefissava in modo esplicito dal principio; o forse, decisamente, sì. Non è stato facile vivere e lottare per vivere (non lo è quasi mai per nessuno). Le difficoltà della vita sono sempre tante, di varia natura e spesso addirittura letali. Riuscire a trovare un pò di luce alla fine del tunnel non è mai del tutto scontato e comporta dei pericoli insieme a cadute e ricadute che ti formano e ti rafforzano spiritualmente certo, ma che ti possono anche piegare e catapultare in un vortice psichico di non – ritorno. Mentre proseguivo con la lettura delle pagine di “OCEANO IRRAZIONALE”, non ho potuto fare a meno di pensare al “demone” di James Hillman, cioè alla grandiosa scoperta che…

Versi spezzati e incerti di una poesia, frammenti dispersi e lacerati di un poema oltre il Tempo

Il cielo è bianco. La terra è bianca. L’aria è freddissima. Il mondo ha vissuto la sua apocalisse ormai da tempo. La civiltà è scomparsa dalla faccia del pianeta. Spazzata via forse da una guerra atomica, forse da un’immane catastrofe naturale o forse perfino di origine extraterrestre. La vita si è quasi estinta. La varietà di colori, con le loro molteplici sfumature, che caratterizzavano le terre emerse, è scomparsa. La fauna e la flora terrestri, evolutesi in milioni di anni, non esistono più. Era un pianeta meraviglioso la terra, il terzo di un sistema solare collocato non troppo al centro di una galassia come ve ne sono centinaia o anche migliaia in tutto l’Universo conosciuto o sconosciuto. Un pianeta meraviglioso la terra sì. Per il solo fatto che vi era la vita: forme di vita via via sempre più complesse fino a raggiungere quella umana, la più completa e complicata, la più enigmatica, la più sublime e, allo stesso tempo, la più controversa e la più contraddittoria, che si potesse mai immaginare e realizzare. Ma adesso è tutto finito … in questo ammasso sferico di macerie, di ceneri, di polveri radioattive, di strati su strati di scheletriche rovine, di inumani…

Joshua Tree. Un albero le cui radici toccano il centro della terra e dell’anima

Negli Stati Uniti d’America e nel mondo è conosciuto come Joshua Tree (ossia l’albero di Giosuè, il personaggio biblico dell’Antico Testamento, chiamato così dai primi coloni bianchi giunti nel deserto della California nel diciannovesimo secolo, appartenenti alla confessione religiosa dei Mormoni). E’ davvero un albero mitico. Ma forse più che mitico si potrebbe anche dire leggendario. Oggi si trova all’interno del Joshua Tree National Park, in un’area sacra ai nativi americani denominata il deserto del Mojave, in California. Un albero, oltretutto, che appartiene ad una specie molto longeva che può sopravvivere anche per diversi secoli. Un unico albero e un albero unico puntellato e circondato solo da rocce e da cespugli bassi. Solitario e grandioso, misterioso e immerso nella sua area sacrale, The Joshua Tree vive e si nutre di un paesaggio surreale e insieme irreale, altamente suggestivo e intensamente poetico. Artisti in ogni campo e di ogni tempo hanno immortalato quest’albero con le loro opere e per mezzo delle loro opere. Si dice che un poeta, un musicista, un pittore, uno scultore, un regista, uno scrittore recandovisi ai piedi di The Joshua Tree e sostandovi, anche per pochi minuti, non possa fare a meno di trovare ispirazione per le…

C’è ancora la capacità di vedere il mondo? Omaggio al regista Jean Luc Godard
000 Primo piano , Jean Luc Godard / 14 Settembre 2022

Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 del secolo scorso nella cultura francese si rinnovano molte forme d’espressione artistica, il cinema in primis, con una vitalità molto produttiva per quanto forse un poco caotica. Questa generazione di registi cinematografici, in Francia, rompe gli schemi e le costrizioni fino a quel momento vigenti, dando vita a una nouvelle vague che si scontra con la rigida censura della V Repubblica di C. De Gaulle. Per la prima volta il cinema francese prende il nome di Nouvelle Vague e, per la prima volta, rivendica la prevalenza del regista che deve portare ovunque il segno e le tracce partendo dalla nuova concezione che il “linguaggio della realtà” è fatto di ambiguità e di una sorta di realtà surreale e sognante, quasi poetica. Da ciò nasce stilisticamente la svalutazione del montaggio a vantaggio del piano – sequenza, delle scene madri a vantaggio della descrizione di comportamenti minimi e irrilevanti, dell’esibizione della tecnica, del gusto della citazione. Dunque, il cinema della Nouvelle Vague riflette su se stesso e conferisce all’arte cinematografica uno statuto e una mission di modernità e di spiccata autonomia artistica davvero unici e nuovissimi. Una vera e propria rivoluzione…

Una freccia leggera dal sibilo acuto. “Tra tempo e tempo” di Mauro Germani
000 Primo piano , Mauro Germani / 13 Settembre 2022

Forse non è casuale il verso di Mario Luzi nella pagina d’inizio del volume che da il titolo al libro: “( … ) crollò ogni divario/tra tempo e tempo/in una eternità accecante”; forse non è neppure altrettanto un caso che il tempo in sé, con il suo enigma millenario, il suo strisciante mistero, il suo fascino per l’uomo abbia in questo libro un posto di rilievo latente e insieme palese. Sto parlando dell’ultimo libro di Mauro Germani dal titolo “Tra tempo e tempo (Readaction Editrice, luglio 2022). Volumetto agile, novantadue pagine appena, ma piuttosto condensato e intenso, “Tra tempo e tempo” di Mauro Germani è molte cose allo stesso tempo: un diario ma, forse meglio, uno scrigno parlante che raccoglie e custodisce ricordi, preserva pensieri, si nutre di memoria ed è per questo bello, vigoroso, vitale, prezioso. Straordinaria ed efficace come sempre la scrittura di Mauro Germani: fluida, scorrevole, precisa, corposa e agile, prefetta nelle sue forme e armoniosa; come una freccia che va dritta al bersaglio e ne colpisce il centro. Una freccia leggera dal sibilo acuto. “Tra tempo e tempo” è forse una confessione dell’autore? Una confessione a se stesso, prima che al lettore? Può sembrarlo. Ma non…

L’Occidente e il tramonto del sole

Fin da tempi arcaici l’Occidente è la terra a Ovest del mondo. Il mondo in direzione del tramonto del sole. Il luogo misterioso della sera e della chimera, della bellezza selvaggia e dell’inconoscibile, delle possibilità e anche dei sogni. L’Occidente: la terra del tramonto. Già Omero la descriveva come la dimora sconosciuta del sole, ed Eraclito ne parlava come della realtà tangibile dell’accadimento e del vero perno del mondo. L’occidente è l’Europa. L’Occidente è l’America. L’Occidente è stata la terra del progresso scientifico e della corsa al futuro. E’ stata la terra della modernità, ma oggi è anche la terra della post – modernità. E se pensatori del Novecento come Oswald Spengler (per citare il più popolare e il più stranamente controverso) hanno visto nell’Occidente il topos di una profezia eclatante, dolorosa quanto inesorabile, predicendone il declino lento, irreversibile e forse violento tuttavia l’Occidente, entità geografica e geopolitica piuttosto rilevante e primaria, si erge sempre come simbolo di trasformazione e di positività, quasi una fiaccola sempre accesa indicante il percorso notturno ad una globalità disomogenea e spesso smarrita. Che cos’è l’Occidente? Un concetto, forse; forse un’idea, forse anche un’ideologia, forse, più precisamente, un ideale e un carnet di valori unici…

Il dono del poetare in un’antichissima leggenda del popolo Inuit

Per la fisica quantistica tutte le radiazioni elettromagnetiche sono composte di fotoni (cioè luce allo stato puro). Questi si raggruppano in un’ampia varietà di energie: da quelle estremamente energetiche dei raggi gamma, a onde cortissime, a quelle estremamente non energetiche delle onde radio lunghissime. In una qualunque banda di radiazioni in cui l’energia raddoppia, passando da un margine della banda all’altro (o la lunghezza d’onda raddoppia nella direzione opposta), si ha un’ottava. I raggi elettromagnetici sono compresi, in tutta la loro ampiezza, in linee di ottave, e la luce visibile occupa una posizione più o meno a metà strada. Ogni cosa (oggetto, pianta, animale, uomo, essere animato o inanimato) che non abbia una temperatura pari allo Zero Assoluto (cioè -273° Kelvin) emette fotoni su un’ampia varietà di energie. Relativamente pochi agli estremi della banda e il massimo verso il centro. Nel caso di cose (oggetti o entità) molto fredde, freddissime, prossime ai -273° Kelvin (lo Zero Assoluto), la radiazione massima è molto spostata nella regione delle onde radio. Nel caso di cose a temperatura ambiente (come noi esseri umani, ad esempio), la radiazione è situata negli infrarossi a onde lunghe. Non vi è, dunque, energia, luce a -273° Kelvin. Di…

L’Arte e lo Zero Assoluto

Se la temperatura più alta per bruciare i libri, che contengono sapere e cultura, è 451° Fahrenheit come rende edotti al riguardo Roy Bradbury nel suo romanzo “Fahrenheit 451”, di certo, ipoteticamente e fantascientificamente, quella più bassa per congelarli o per annientare ogni germe di vita è – 273° Kelvin, la temperatura più bassa nell’intero Universo, ossia lo Zero Assoluto. Il caldo brucia e uccide; il freddo, all’opposto, rende inerte la materia e uccide. In questo primo scorcio di ventunesimo secolo è forse ancora viva l’Arte? Sì l’Arte. la Poesia, in primis, con il suo carico di sentimenti, di sensibilità, di immaginazione, di fantasia, di sogno e di illusione, di ascolto profondo e indicibile dell’Essere? Forse sì, ma è come mutilata, moribonda, umiliata, esiliata e senza più molta prospettiva di vita. Sembra forse andare, con andatura lenta ma costante, verso lo Zero Assoluto. Possiamo ancora salvarla? Forse sì, perché anche il freddo terribile: il mare ghiacciato dell’indifferenza e dell’ignoranza può conservare senza tuttavia uccidere, può obliare senza tuttavia annientare. A tale proposito mi vengono in mente alcuni aneddoti che riguardano lo strano e incredibile rapporto tra l’Arte e il freddo e cioè che, in passato, i grandi capolavori della musica,…

Il Tuat (o tradizione) arabo e la modernità

Il termine arabo Tuat si può tradurre con “tradizione” la quale, a sua volta, nel mondo arabo – islamico implica una serie di termini e concetti che spaziano da “eredità” in generale a “patrimonio materiale e spirituale” fino a “raccolta di tracce del passato” o anche a “carica affettiva e contenuto pieno di tradizione ideologica”. Essere “moderni” non significa affatto, per il pensiero arabo – islamico, rifiutare la tradizione né rompere con il passato, ma piuttosto innalzare il modo di assumere il rapporto con la tradizione a livello di ciò che viene definita “contemporaneità” la quale consiste nel mettersi al passo del progresso che va attuandosi a livello planetario. Anche se si ammette che la modernità europea rappresenta oggi la modernità “planetaria” per eccellenza, già solo il suo inserirsi nella storia culturale specifica dell’Europa – anche come figura di opposizione – la rende incapace di confrontarsi in un dialogo critico con la realtà culturale araba la cui storia si è costruita in spazi lontani. Estranea alla cultura araba e alla sua storia, la modernità europea non riesce a stabilire un dialogo capace di avviare un movimento all’interno di tale cultura. Costretta com’è a confrontarsi con esso solo dall’esterno, automaticamente spinge,…

La poesia Nabati: una rosa purpurea nel deserto

Poesia del deserto. Poesia Nabati, o popolare. Poesia dal fascino esotico e indiscutibile. Poesia che viene da lontano, dal paese dei “Mille e una notte”, cioè dalla penisola arabica. La poesia Nabati, o del deserto, cattura il lettore per il contenuto nostalgico e sentimentale che la pervade. Dopo un periodo di oblio, riceve nuovo impulso dal poeta siro – libanese Khayum – d – Kin az – Zarakli che, nel volume dal titolo “Ma ra itu wa ma sami tu” (Ciò che ho visto e sentito)), riporta alcuni esempi di poesia denominata “Al – Humayni” e spiega il significato di alcuni versi. Az – Zarakli divide la poesia beduina in due gruppi: “Al – Qarid”, metricamente e linguisticamente corretto, e “Al Humayni”. Il poeta ha compreso l’importanza della poesia beduina, anche se povera dal punto di vista grammaticale, ed afferma: “Il beduino tutt’ora nella poesia evoca le tracce antiche, descrive le nuvole e le montagne, esprime la sua nostalgia per l’amore, piange la separazione, compone elegie per la morte di una personalità o per esaltare un personaggio. Nella sua poesia si riconosce, perciò, lo spirito del poeta beduino che si dirigeva verso Ukaz oltre quattordici secoli fa”. Con questo scritto…

La Poesia e il tempo

Il tempo: enigma e mistero fin dalla comparsa dell’uomo sulla terra. Il tempo: ossessione, ansia, tabù, realtà sacrale, entità che sfugge. E’ stato e continua ad essere tutto ciò per l’uomo il tempo e il concetto di tempo. Il tempo: inafferrabile eppure ineludibile; realtà o irrealtà? Cosa si sa o si può mai dire di concreto intorno al tempo? I rintocchi di una campana che scandiscono le ore, ciò che noi, come esseri umani, facciamo ogni giorno, nel bene o nel male, è uno scandire lento o veloce del tempo. Gli orologi (anche i più sofisticati quali quelli atomici che scandiscono perfino i millesecondi) misurano il tempo: in secondi, in minuti, in ore ma non dicono che cos’è il tempo. I calendari lunari o solari riportano, regolarmente e ciclicamente, i giorni, i mesi, gli anni ma non dicono, ugualmente, che cos’è il tempo. Ci hanno provato i filosofi di ogni epoca a pensare il tempo e a tentare di capire che cosa il tempo mai fosse. Ma in fondo non si è mai saputo, non si sa, forse non si saprà mai che cos’è il tempo. Tutti quelli che hanno indagato il tempo e hanno dissertato su di esso sono…

“Lo scrittore oggi ha perso il suo ruolo – guida nella società”. Conversazione con lo scrittore Alessandro Bertante

Alessandro Bertante è nato ad Alessandria nel 1969, ma vive a Milano. E’ scrittore e saggista, ed è course leader del Triennio di Cinema e Animazione alla Nuova Accademia di Belle Arti. Il suo primo romanzo “Malavida” è del 1999. In seguito pubblicherà i saggi “Re nudo” e “Contro il ’68”. Nel 2008 pubblica “Al diavul” che vince il Premio Letterario Chianti. Nel 2011, con il romanzo “Nina dei lupi”, vince il Premio Rieti e nel 2013 vince il Premio Margherita Hack con “Estate crudele”. Con “Gli ultimi ragazzi del secolo” è finalista al Premio Campiello 2016, e con “Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR” è finalista al Premio Strega 2022. Molte e varie le sue opere di narrativa, oltre alle diverse antologie di racconti di cui Allessandro Bertante è stato curatore. Francesca Rita Rombolà conversa con Alessandro Bertante per poesiaeletteratura.it D – Scrivere un buon libro o un bel libro? E chi gratifica, o soddisfa, di più il lettore o l’autore? R – Un buon libro e un bel libro insieme. L’autore prova di certo sempre soddisfazione nello scrivere un libro, ma alla fin fine credo che un buon libro e un bel libro gratifichi e soddisfi maggiormente…

I bambini e la guerra

Bambini che hanno perso l’amore e il diritto all’amore. Bambini che non conoscono più l’amore. Bambini soli e solitari che hanno fame e sete di ogni cosa, ma di essere amati e accuditi principalmente. Bambini che non possono più giocare. Bambini che non possono più esprimere la loro gioia di vivere. Bambini che non riescono più ad esperire la loro innocenza ludica e il loro spirito di libertà infinita e pura. Bambini in guerra e in mezzo alla guerra. Bambini trascinati dalla guerra come arbusti spezzati lungo gli argini da un fiume in piena. Bambini sotto shock a causa della guerra il cui trauma disumano sarà come una zavorra invisibile che si porteranno addosso per il resto dei loro giorni fino a tarda età. Bambini che hanno dentro la loro anima infantile ancora in formazione l’innato senso di una pace superiore e profonda che gli uomini non riescono mai a capire e perciò non possono mai dare. Bambini i cui effetti disastrosi della guerra sono ferite dagli squarci inauditi e dalla profondità senza dimensione che brilleranno come piaghe perlacee di luce tenebrosa col trascorrere cruento degli anni e delle stagioni. Bambini la cui levità divina contrasta terribilmente con la nefanda…

“Quale vita può esser vissuta senza il calore della poesia?”. Conversando con Daniele Salerno, manager e scrittore
000 Primo piano , Daniele Salerno / 15 Luglio 2022

Daniele Salerno nasce a Palermo nel 1985. Nel 2007 si trasferisce a Bologna dove lavora come consulente vendita per i settori parrucchiere ed estetica fino al 2012. Oggi è direttore di un’azienda fitness e operation manager della regione Lombardia. Ha pubblicato il suo primo romanzo, “Il figlio di Giuda”, mentre il secondo, “Gemini”, verrà pubblicato nel dicembre 2022. Ha ripreso gli studi, precedentemente interrotti, di Lettere e Filosofia all’Università di Milano e spera di conseguire la laurea all’inizio del 2023. Daniele Salerno ha anche scritto alcuni articoli per il Giornale di Sicilia. Francesca Rita Rombolà e Daniele Salerno conversano insieme. D – Daniele, racconta un pò della tua passione per la scrittura. E’ davvero così importante per te scrivere? R – Ho scritto per passione, per emotività, per noia, per riempire vuoti. Ho iniziato a scrivere da bambino per strappare un sorriso e una lacrima ai miei genitori e agli affetti a me più cari. Ho scritto da adolescente per non urlare e ho scritto per non tacere in età più adulta. Ho scritto, scritto, scritto … ma continuo a scrivere, come sto facendo adesso, rispondendo alle tue domande. E scrivo perché credo che l’inchiostro che possediamo dentro è inesauribile….

“Il cinema, ancora una volta, divulgatore di notizia e di civiltà”. Conversazione con Rocco Cosentino, regista, attore, scrittore
000 Primo piano / 7 Luglio 2022

Rocco Cosentino è attore, regista, scrittore. Nasce a Bergamo nel 1958. Dopo la scuola di teatro frequentata a Milano, coadiuvata da stage e corsi professionali, intraprende l’attività professionale nel 1982. Per il teatro ha interpretato autori quali Ionesco, Beckett, Arrabal, prediligendo il teatro dell’Assurdo. Lavora con attori quali Turi Ferro, Giulio Brogi, Anna Campori, Nino Frassica. Nel 1989 fonda, a Firenze, l’A. S. T. A. R. – Associazione Toscana Artisti Riuniti – della quale è stato promotore e presidente. E’ stato punto di riferimento e di contatto tra artisti italiani ed europei di ogni tendenza e stile. Famose le due “Vetrine Firenze Arte” e “Vetrina Firenze Arte Europa” patrocinati da tutti gli enti pubblici di Firenze, da tutti i consolati europei e da quello degli Stati Uniti d’America dove ha curato l’organizzazione e la regia. Nella prima metà del 2008 realizza, come regista, due cortometraggi dal titolo “Ice Cream Culture” e “Raccomandata A. R.”. Sempre nel 2008, in qualità di regista, scrive e dirige il medio metraggio “Psiche”. Nel 2011 è regista del cortometraggio dal titolo “Fame d’amore”, e intanto pubblica il suo primo romanzo “Nel nome del Padre e della Madre”. Nel 2012 è regista del cortometraggio “la Pietra…

Il poeta cinese Ton Fon e lo scorrere inesorabile del tempo
000 Primo piano , Ton Fon / 28 Giugno 2022

Forse oggi è quasi un must parlare della Cina in generale e soffermarsi su qualche suo aspetto in particolare, perché la Cina è praticamente da sempre un grande paese in tutti i sensi (la sua civiltà è nata millenni prima di Cristo) e la sua realtà è costante, vasta, complessa e tutta da scoprire. Una riflessione molto breve sul poeta cinese Ton Fon, che visse intorno al 712 – 770. Il luogo della sua nascita è incerto. Ebbe una vita molto movimentata e sofferta in un’epoca in cui la Cina fu contraddistinta da profondi e intensi rivolgimenti politici quali la ribellione di An Lu Shan e l’ascesa al potere dell’imperatore Sutsung. Il poeta Ton Fon, costretto all’esilio e a una vita raminga, patì la fame e l’isolamento, conobbe il dolore e l’umiliazione. I suoi poemi, rimasti in diciannove libri, documentano non solo la sua statura morale e il suo senso doloroso del destino umano ma anche una spiccata sensibilità politica e sociale sullo sfondo degli avvenimenti del suo tempo. Insieme a Li Po e Wang Wei è la figura più rappresentativa della letteratura cinese. I suoi versi sono attraversati da un amore purissimo ed elevato verso i propri cari e…

“La Poesia … conoscere il mondo per mezzo dell’anima e con il ‘fare anima’ “. Un breve dialogo con Selene Calloni Williams

Selene Calloni Williams, scrittrice e documentarista, è autrice di numerosi successi tradotti e pubblicati in diversi paesi del mondo e di documentari che spaziano dalla psicologia all’ecologia. Ha avuto due grandi maestri conosciutissimi a livello internazionale: Michael Williams e James Hillman. Si laurea in psicologia con una tesi sullo yoga integrale e ottiene un master in screenwriting presso la Napier University di Edimburgo, in Scozia. Selene Calloni Williams è l’iniziatrice del “metodo subliminale” o “approccio immaginale” e della scuola italo – svizzera degli immaginalisti. E’ anche una relatrice internazionale molto attiva e conosciutissima, ha infatti partecipato a numerosi convegni e congressi accanto a grandi e famosi personaggi come James Hillman, Raimon Panikkar, Karan Sing. Molte università, italiane e straniere, l’hanno chiamata in qualità di Keynote Speaker. Fra i libri, best – seller in tutto il mondo, di Selene Calloni Williams si ricordano: “Manta Madre”, “Lo Zen e l’arte della ribellione”, “Discorso alla luna”, “Il profumo della luna”, “Adolescenza interrotta” e il fresco di stampa “Daimon – Scopri il tuo spirito guida e guarisci con i miti”. Francesca Rita Rombolà e Selene Calloni Williams dialogano insieme per poesiaeletteratura.it. D – Parliamo un pò dei maestri che ha avuto, cioè Michael Williams…

L’azzurro dei poeti

“Voglio un azzurro speciale. Un azzurro che vada oltre il colore reale che l’occhio riesce a percepire e a focalizzare. Voglio l’azzurro dei poeti!”. Pare che Michelangelo Buonarroti dicesse queste parole quando dipingeva la Cappella Sistina e fosse preso dal dilemma del colore da dare al cielo del monumentale affresco. Il colore sì, l’azzurro certo, ma quale sfumatura di azzurro? Che particolarità di azzurro? L’azzurro della Cappella Sistina dire che è straordinario e meraviglioso è poco. E’ un azzurro divino. Sì, l’azzurro del Divino. L’azzurro preternaturale. L’azzurro edenico. L’azzurro dei poeti. Eppure Michelangelo non fu mai pienamente soddisfatto di questo azzurro ricercato e trovato con difficoltà. Per lui non era ancora il “divino azzurro”, l’azzurro che “l’occhio umano non riesce a percepire, a vedere, a mettere a fuoco materialmente”. L’azzurro. Il colore azzurro. L’azzurro dei poeti. Che cos’è? E’ davvero un colore? Il colore azzurro, appunto? O non è piuttosto un concetto immaginifico? Una dimensione ancestrale perduta? Un archetipo? Una metafora della poesia come realtà che non appartiene al mondo, alla società, al calcolo, al raziocinio, al comune sentire? Sicuramente, e fin dai tempi più remoti. Il cielo del pianeta terra è azzurro. I mari del pianeta terra sono azzurri….

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