Luci che muovono verso chi le scorge – anche e ancora – in lontananza …

E’ un tempo che annuncia il raccoglimento interiore. Un tempo per meditare e per riflettere su se stessi e su tutto ciò che ci circonda. Un tempo che avvicina di più a noi i nostri cari morti … una vera festa tutta per loro. Dedicata a loro. Perché la luminosità dei loro occhi vivi entri nei nostri e non si spenga mai. Perché ciò che ci rende consapevoli e forti nelle avversità possa essere fresca sorgente per il loro spirito e quiete per la loro anima. Un tempo e un giorno elargiti per chi amò e praticò la pace e la giustizia, il bene e la verità, percepì il senso profondo dell’umano patire e dell’umano agire. Nello splendore e nella gloria luci che muovono verso chi le scorge – anche e ancora – in lontananza … poiché il vicino e il lontano non arretrano di fronte all’inesorabile che, a volte, sembra sovrastarci e renderci impotenti. Così l’autunno apre le sue porte, e ci invita ad entrare pienamente nella sua bella e modesta dimora. VOLTI CHE PIU’ NON VEDI Silenti i crepuscoli serali, di un rosso acceso le nubi trascolorano a Occidente nella quiete che precede la sera. Fra poco la…

Tutto ritorna. Ma forse non è mai veramente del tutto identico

Talvolta i giorni che si ripetono ciclicamente sono lieti, talvolta invece tristi, anche se in apparenza non vi è motivo di tristezza alcuna. Talvolta l’atmosfera che in essi si respira ti riporta indietro nel tempo (può essere del tutto normale) a vissuti che non si potranno mai dimenticare, ma che credevi di aver perso per sempre in qualche angolo oscuro dell’inconscio; tutto è uguale come sempre; tutto in fondo si ripete quasi identico in ogni cosa, eppure non è come prima. Non è più come prima. Qualcosa, anche di impercettibile, è mutato. Muta ogni volta. La stessa atmosfera ha un qualcosa di imperscrutabile e ineluttabile che si percepisce appena. Ma si percepisce. Senti vicino a te la presenza viva di chi ti amò e ti volle bene e ormai non è più; senti quel calore interiore che ti faceva “danzare nell’aria” nell’infanzia e nell’adolescenza al solo respirare l’aria, al solo guardare il cielo, al solo udire i suoni, al solo sentire gli odori, al solo guardare la magia collettiva dei colori, l’ondeggiare delle persone di ogni età per vie e piazze, angoli di mercato e di spettacoli di strada. Tutto ritorna. Ma forse non è mai veramente del tutto identico….

I bellissimi ed esotici frutti di settembre

Belli. Forse di più. Bellissimi. I bellissimi frutti di settembre. Protetti dalla loro sottile corazza di ancor più sottilissime spine, forse per proteggersi dall’umidità dei crepuscoli, forse dai predatori animali, forse da mani umane non sempre “delicate” nello strapparle alle foglie di cactus. I fichi d’india … frutti ormai endemici da secoli delle estreme regioni meridionali della nostra penisola. I fichi d’India … frutti che maturano nei giorni tiepidi e luminosi di settembre, alle sue brezze marine, ai soffi del suo vento (lo Zephiro degli antichi greci e latini) lieve e gentile nel tocco ultra millenario. I fichi d’India … frutti che sanno di tenace resistenza agli elementi naturali più minacciosi e di terre lontane, di culture ancora deste e regali, di giorni dolorosi e di dolcezze inconsce mai sopite. Frutti di settembre. Sì. I bellissimi ed esotici frutti di settembre. FRUTTI DI SETTEMBRE Quasi nascosta come in ombra, ancora tenace e ormai solitaria fra alberi e arbusti di un habitat naturale ed endemico forse unico, forse diverso da molti altri; l’ho vista passando, e il mio sguardo perspicace l’ha sfiorata la sola pianta di fico d’India rimasta su una collina che molte ne ha viste crescere rigogliose, e morire…

Gli ultimi giorni di agosto. Quasi sempre temuti. Quasi sempre aspettati.

Gli ultimi giorni di agosto. Quasi sempre temuti, quasi sempre aspettati. Temuti perché forse finisce un momento prolungato di svago e di vacanza fatto di balli notturni, di sagre paesane, di tanto mare e di tanto sole, spesso di calura, di pranzi e di cene luculliane in compagnia di amici e in posti che ricordano una spensieratezza spesso fanciullesca, ma anche di lunghe camminate in solitaria e di uno strano silenzio interiore in netto contrasto con gli schiamazzi quotidiani e notturni di un mese che si vuole dedicato al riposo totale e un poco anarchico  in ogni cosa … almeno nei paesi mediterranei. Aspettati perché ritorna una quotidianità perduta che in un certo senso rende sicuri, e tiene al sicuro dal caos e dalla rottura degli schemi. Bello notare come in questi ultimi giorni di agosto le albe si siano allungate e i tramonti accorciati, mentre i crepuscoli mattutini e serali riservano al sole dei raggi sottili e improvvisi come una lama dal bagliore istantaneo su una superficie eterea che rimanda alla riflessione o all’apatia. Non è tempo di pensare all’autunno. Non è tempo di pensare all’inverno. Non è tempo di pensare a ciò che entrambi riservano nell’immediato o all’arguta…

“La vita terrena è solo un attimo in confronto all’Eternità. 26 luglio 1975 – 26 luglio 2025

Era una giornata calda, come oggi; era precisamente un sabato, come oggi; era una splendida mattina, in fondo, quasi al colmo dell’estate, ideale per chi vuole, e per chi può, godere del sole e del mare, della collina e della montagna; mio padre ci lasciava … mio padre mi lasciava, mi lasciava bambina di undici anni inconsapevole di che cosa fosse la morte e del perché si porta via per sempre le persone care. L’anno era il 1975, esattamente cinquanta anni fa, la metà di un secolo per il computo del tempo terrestre, o terreno. Non ricordo tutto di quel giorno ormai lontano, il trascorrere degli anni si fa sentire e mi pesa nella mente e nel corpo, ma ho conservato tanto, e soprattutto intatti i momenti più dolorosi e più drammatici, che ho custodito nel cuore in questi cinquanta anni in cui ho visto e ho vissuto di tutto. Sono rimasta sola, unica di quella piccola famiglia che, nei primi anni ’70 del secolo scorso, era così felice, e sembrava dovesse avere un futuro promettente o addirittura luminoso. La vita non è mai come tu la immagini o come tu la sogni, la realtà esige sempre il suo tributo…

“La Via delle Croci”

“La Via delle Croci” era un percorso obbligato a Gerusalemme per ogni condannato a morte dalla legge romana, una via da evitare, se possibile, sinonimo di infamia e di vergogna per ogni persona, uomo o donna, del luogo o di lontano … dal giorno in cui la percorse il Cristo, carico della croce, non fu mai più così per il mondo. Una Pasqua serena e lieta per tutti.   La Via delle Croci “La Via delle Croci” così è chiamata perché i condannati a morte vi passano spesso portando sulle spalle lo strumento del proprio supplizio, ma oggi, in questo giorno, qualcuno la percorre, lento eppur veloce negli attimi inflazionati che entrano nell’Eternità, moto armonico delle sfere celesti quiete raggiunta dagli eoni oltre la nascita e la morte di un’altro Universo, Lui: Alfa e Omega la Fine e il Principio di Tutto. Coperto di sputi, di sangue di sudore, di insulti il più reietto degli uomini, come si può credere ancora che costui è Dio? Il promesso, l’Unto, il Messia? Sul Colle dei Crani ossa e putredine di morte attendono i nuovi crocifissi, e ogni cosa si ripete conforme a un rituale consueto, ciclico quasi. Soltanto quando un grido di…

Un canto antico di secoli

Il Laos, terra lontana ed esotica, terra di templi dedicati al Buddha, l’Illuminato, di grotte, di foreste pluviali e di fiumi, forse non del tutto conosciuta (di certo, per molti versi, ancora da esplorare) all’uomo dell’Occidente opulento, scaltro, desacralizzato. Il Laos, un paese piccolo situato nel sud – est asiatico, un paese che nel recente passato è stato molto tormentato dalla guerra (vedi l’intervento statunitense in Vietnam negli anni Sessanta del secolo scorso), ma con una storia millenaria ricca di civiltà, di cultura, di arte. Ancora oggi forse, camminando per le vie del Laos, si percepisce, nonostante la globalizzazione forzata di questa parte considerevole del pianeta, una forma di spiritualità latente ben radicata e piuttosto tenace. Luci e ombre si alternano sul cammino del pellegrino, o del semplice viandante, quando si ferma a dare uno sguardo a tutto ciò che lo circonda. Gli alberi a pelo d’acqua circondano le rive dei fiumi, e i tramonti lunghi e rosseggianti sembrano ammantare di corallo le cime di rupi primordiali che il tempo ha forse dimenticato di coinvolgere nella sua corsa in avanti. Voci di persone e voci di animali. Suoni imprecisati che la natura trasforma, ingigantisce o rimpicciolisce restituendoli all’orecchio spezzati o…

“Un inno iniziatico che travolge l’essere …”

“Un inno iniziatico che travolge l’essere, come l’impeto della primavera frantuma gli spessi ghiacci invernali ( … )”. Così il critico letterario ed editore Mauro Baroni definì “Inno a Isthar” di Francesca Rita Rombolà facente parte della silloge poetica “Alba, sul ponte sospeso” (Mauro Baroni Editore, 1994). Lo ripropongo oggi, a tantissimi anni di distanza dalla sua pubblicazione, in occasione della Giornata Internazionale della poesia, e primo giorno di primavera. Un inno dedicato all’antichissima dea assiro – babilonese, Isthar, dell’amore e della guerra, della vita e della morte; un inno lungo quasi quanto un piccolo poema; forse bello, toccante e coinvolgente, forse no. L’inverno è terminato, ancora una volta sì; la primavera giunge oggi, lieta e attesa come sempre, ancora una volta sì. Inno a Isthar Canto d’amore e morte Sussurri, oh dolorosi ed eterni sussurri Il tuo sussurro il mio sussurro, di notte In cieli dentro il Cielo In aurore senza confine. Notte notte, tempestosa notte Venti venti, tempestosi venti della notte Amore amore, misterioso amore Sussulto, sussulto nell’ombra Che rattrista il mio lamento d’amore E la voluttà di quel singulto. Tutto l’amore riunisce, Tutto l’amore trascina. Lontano amore, lontano venti, Nelle notti tempestose di ceneri e di stelle,…

Auschwitz, 1945 – 2025, per non dimenticare mai ciò che l’uomo può fare all’uomo

Auschwitz, 1945 – 2025, per non dimenticare mai ciò che l’uomo può fare all’uomo. Per capire e, allo stesso tempo, non voler capire perché. Per continuare ad essere sempre, nel bene come nel male, umani e riuscire a conservare la propria dignità di esseri viventi sotto il cielo. Per fare memoria di ciò che il passare del tempo e l’incuria degli uomini potrebbe cancellare o rimandare in un oblio senza speranza. Per consentire alla morte di essere vera morte e alla vita di essere vita vera. Per non dimenticare sì, mai niente di quello di più caro, e di più intimo, che ci appartiene comunque. MEMORIA Perché ricordare la mano che ti ha colpito al volto e ti ha fatto sanguinare? E l’arma, di ferro, di pietra di titanio che ti ha tolto la vita nel fiore degli anni? E la bomba che ha raso al suolo la tua casa e la tua città mettendo fine ai sogni di fanciullo e all’innocenza di bambino esili e forti sulla terra? Uno strano nome ha da quel giorno lontano di gennaio il simbolo del male, luogo e insieme non – luogo in cui milioni e milioni persero la gioia e il dolore…

Buon Natale e Felice Anno Nuovo

Un Natale di nuvole, di azzurro e di splendidi colori, di sole e di pioggia, di candida neve e di vento sottile. Un Natale che sia, per tutti e per ciascuno, motivo di riflessione profonda perché ogni giorno un bambino nasce, ogni giorno un bambino muore nel cuore ferito (e spesso lacerato) della Terra. Un Nuovo Anno (2025) di pace in quell’anima e in quella mente in cui pace non c’è mai stata, presso quella gente, quel popolo, quella nazione che pace non ha mai avuto. Che l’attuale travolgente trascorrere degli anni presenti possa almeno farci comprendere l’importanza dell’istante il quale custodisce la gioia dei lieti ricordi e la speranza del tempo a venire. PIANTI DI BIMBI INNOCENTI Un angelo, in sogno lo stesso angelo: “Porta il bambino e sua madre lontano”. In fretta, a raccogliere le poche cose il pericolo incombe su di lui nato da giorni: mai un re cederà il proprio regno a chi non porta nome e stirpe del suo stesso sangue. Pianti di bimbi innocenti ignari del mondo e del male il vento lieve trasporta di già per le alture della regale città. E poi … il silenzio attimi abissali prima che lo strazio delle…

Come la tigre: bella, libera e fiera

Per la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Contro ogni forma di violenza sì, soprattutto quella contro la donne come genere femminile. Contro il femminicidio, che tanto suona quale sinonimo di “genocidio”. Contro la sopraffazione dell’uomo, come genere maschile, nei riguardi della donna. Contro la disparità e la discriminazione assolute e parziali fra i sessi. Contro le sacche di maschilismo e di abietta e retrogada cultura patriarcale e misogina che ancora si annidano, come forma mentis radicata nella società, in molti luoghi, anche i più insospettati e insospettabili. Contro l’odio che avvolge noi donne, e ci travolge. Contro le umiliazioni subite. Contro le vessazioni perpetrate a nostro danno. Contro lo sfruttamento di ogni tipo che ci vede quali oggetti e non persone, come cose e non esseri umani. Contro il male che si accanisce, da sempre, su noi donne. Ferite e piegate, ma non spezzate. Capaci ancora di risollevarci e di camminare erette come il primo homo sapiens nelle foreste primordiali del mondo. Capaci ancora di un sorriso e di un improvviso gesto d’amore. In grado ancora di sognare, di dare e infondere speranza e di sperare noi stesse. Bisognose di una carezza fuggevole, di un minimo gesto di…

La Poesia e il mondo primordiale della Grande Madre

Un tempo. Remotissimo. In cui la società era essenzialmente matriarcale, cioè una forma di esclusività (ed inclusività) del tutto femminile in cui il potere di generare della donna era al primo posto in ogni funzione primaria e secondaria. Questo tempo non è storico, quindi poco documentabile. Appartiene ad epoche in cui la civiltà è ancora lontana e con essa le arti, la scienza e la scrittura. Un tempo – dunque –  prima della Storia perciò pre – istorico del quale si sa poco o quasi nulla, almeno dal punto di vista del dimostrabile e del consueto. Ma non per quanto riguarda il suo legame con la Poesia. La Poesia fu, al tempo in cui dominava incontrastata la Grande Madre primordiale, suono, parola, ritmo, cosmico ascolto, suono del Principio, parola che conduce al Divino e nel Divino abita … sì ritmo, ritmo incessante e assoluto dell’Universo pulsante, vivo, in espansione. Penso spesso (e, devo dire, sempre con una nostalgia quasi struggente) a questa età matriarcale in cui la danza, la parola, il ritmo erano la vita e la morte. Erano ogni cosa. Ed erano tutto. Sì … un’età delle Madri in cui non vi era potere sul mondo, non dominio sull’esistente….

Dov’è il paese in cui non si muore?

E’ una voce antichissima, che ci viene da una civiltà distante da noi nel tempo e nello spazio, eppure è una voce perenne quella che interroga la propria anima e il proprio cuore sul significato del vivere e del morire e confida al Grande Spirito Universale le proprie ardenti speranze. E’ un canto dal titolo “Dov’è il paese in cui non si muore?” di anonimo messicano ma che, probabilmente, ne è l’autore Fiore Nero – Principe della Corona – erede di Montezuma II ultimo imperatore del Messico precolombiano, raffinato poeta e insigne guerriero. Egli comprende, sa, che la vita non è “nostra” e non ce la diamo noi: ce la dona il Grande Spirito Universale in un sublime atto d’amore. Se la vita è qualcosa che dura perennemente, noi non viviamo perché siamo destinati a morire: solo il Grande Spirito Universale vive in quanto è eterno; Egli, infatti, può farci vivere eternamente concedendoci la vita oltre la morte del corpo … ma talvolta la tristezza e il dolore del distacco possono essere umanamente davvero insopportabili! Vi è una terra in cui i morti possano vivere finalmente liberi da ogni affanno che consuma i mortali? Possono essi aver raggiunto una pace…

La precarietà della condizione umana. “Canzone d’autunno” di Paul Verlaine

In un abbandono languido e malinconico, nella dolente e monotona musicalità dell’autunno, il poeta francese Paul Verlaine (1844 – 1896) ricorda tristemente il passato e, avvertendo la precarietà della condizione umana, si abbandona come foglia morta al vento della mestizia che irresistibilmente lo trascina… Il suono di violini giunge, all’ascolto del poeta, come un singhiozzo che ferisce il suo cuore; fragile e, allo stesso tempo, forte è la sua sensibilità che percepisce il pianto e la ferita dell’anima che ne deriva; tutto è pieno di affanno e anche stanco; un’ora inquietante e misteriosa scocca inesorabile per far rivivere il ricordo di giorni remoti, forse anch’essi tristi ma forse pieni di gioia e di speranza, di allegria e spensieratezza e per questo più dolorosamente percepiti. Così il poeta va, come alla deriva, nel vento autunnale (che nel nord d’Europa è davvero implacabile) da un angolo ad un altro come la foglia morta (ingiallita e secca ormai) per i viali e i parchi, le piazze e i giardini, ovunque vi sono alberi non sempreverdi che si donano interamente al ciclo incessante della natura. Sembrerebbe un quadro veramente desolante e disperato che ha ceduto alla fine e non si batte e non lotta…

9 ottobre 1989 – 9 ottobre 2024. Sono ancora qui. A lottare e a scrivere

9 ottobre 1989 – 9 ottobre 2024, non è un anniversario, non sono i trentacinque anni esatti di un evento o di un avvenimento eclatanti, ma di sicuro questa data di tanti anni fa, in un certo senso, ha cambiato la mia vita perché da quel giorno in poi sono forse diventata scrittrice in “maniera ufficiale”. Da quel momento in poi ho scritto e ho scritto. Non ho smesso più di scrivere. Di scrivere romanzi, racconti, articoli, recensioni, di comporre versi di poesie lunghe e brevi, poemetti e sillogi di vario genere… non ho ancora smesso di scrivere; nel dolore e nella gioia, nella sofferenza e nella letizia, navigando in acque profonde e perigliose; sono stata pioniera della poesia, in particolare, e della scrittura, in generale, in un ambiente, e in contesti, sociali e culturali non molto progrediti, e al passo con i tempi, al riguardo; ho vissuto lutti e perdite tremende, subendo umiliazioni e pregiudizi, incomprensioni e blocchi psicologici, momenti di sconforto e di illuminazione, sempre lottando e lottando, affrontando, e spesso superando, difficoltà anche terribili, solitaria e in solitudine, sola e quasi misteriosamente guidata da uno strano e vago “istinto soprannaturale” che sembra come guidarmi e determinare, in…

Il senso del “niger” nel poeta latino Orazio

Quinto Orazio Flacco (Venosa 65 a. C. – Roma 8 a. C.) è il poeta latino formulatore del famoso concetto “carpe diem / cogli l’attimo”, ma forse è meno conosciuto per un altro concetto più profondo e, diciamo, meno “solare”, cioè il senso del “niger”. Il termine latino niger può essere tradotto con nero, oscuro, notturno; in Orazio assume un significato piuttosto originale e complesso. Egli era, come tutti gli scrittori latini, introspettivo. Dalle sue opere non si ricava solo il suo ritratto fisico – un uomo del sud Italia (un meridionale, diremmo oggi) basso, corpulento, cisposo, scuro di pelle e precocemente ingrigito – ma anche, e soprattutto, quello psichico dominato da due tratti: irritabilità e irrequietezza. “Non sai stare un’ora con te stesso, ma fuggi da te cercando di eludere l’ansia col vino o col sonno: invano, ché essa, nera compagna, ti sta sempre alle costole”, si fa dire, dal servo Davo, promosso, per l’occasione, a voce della sua coscienza. Questa “nera compagna” ha una certa predilezione inconscia nel poeta, e il termine niger vi compare spesso nella sua intera produzione letteraria: per sottolinearne alquanto il senso profondo e quasi celato alla coscienza. Perché questa predilezione? Perché forse, come…

Il mistero della lingua, la magia del parlare

I popoli parlano, le nazioni hanno una loro lingua ufficiale, le genti si esprimono in dialetti e in idiomi propri. L’uomo, il genere homo, l’homo sapiens sapiens parla, comunica, si esprime; e con ciò e per ciò ha costruito e costruisce la civiltà e le civiltà. Molti e differenti sono i linguaggi, ma determinati i suoni che formano le parole e articolano la lingua. Il linguaggio avvicina all’altro. Il vicino e il lontano, per mezzo della lingua, sono esseri umani che guardano il cielo e oltre il cielo. La parola sente, percepisce, esplica infine la presenza (di Dio, degli dei, del destino, del Tutto è inerente all’individuo e alle sue credenze). Le lingue dei popoli sono innumerevoli, molte estinte perché le etnie non sono ormai più da secoli; molte parlate ancora da pochi; moltissime veicolo di comunicazione orale per milioni e milioni in tutto il mondo. Le lingue si evolvono, si trasformano, diventano irriconoscibili e nuove, seguendo un percorso più o meno analogo alle civiltà che nascono, crescono, si sviluppano e scompaiono come ogni cosa nell’universo conosciuto (le galassie, i sistemi solari, le stelle simili al sole o diverse dal sole, i pianeti). L’uomo è l’unico animale che parla (sulla…

Il “bisogno” del silenzio dei cuori

Fragore e caos, strepito e sfrenatezza, questo e molto altro si alternano nel mese di agosto, al culmine dell’estate, per chi può godere di un periodo di riposo, non sempre utilizzato al meglio e nel rispetto dell’altro, per chi soffre a causa di guerre, di malattie, di solitudine, di povertà e di altri mali che spesso l’uomo trasforma in endemici. C’è bisogno di silenzio. Un silenzio fatto di riflessione e di un cuore che batte, ed ogni battito assapora la ricchezza spirituale del tempo che rallenta per dare riposo vero e pace all’essere talvolta stanco, talvolta sfinito, talvolta incapace di capire e di vivere normalmente e naturalmente. C’è bisogno di silenzio. Il “bisogno” del silenzio dei cuori affranti e dei cuori in disparte, ma comunque di tutti i cuori che ancora battono in modo umano e sperano nell’umanità ferita, imbrutita, piegata. Sperano nel suo riscatto, nel suo miglioramento, nelle sue capacità di resilienza per ricominciare ancora all’aurora di un giorno radioso. Il silenzio dei cuori Lasciate che la terra fruttifichi e fiorisca, lasciate che l’acqua lavi e rinfreschi le pietre e il fango, lasciate che l’aria respiri lieve sul giorno e la notte, lasciate che il fuoco riscaldi dal freddo…

Questo luminoso “notturno” d’estate

La Romania trae la sua origine dall’antica Dacia, che fu eretta in provincia romana dall’imperatore Traiano nel 107 d. C. I romani occuparono la regione soltanto per un secolo e mezzo (107 – 274), ma questo fu sufficiente perché la popolazione locale, amalgamatasi con veterani e coloni, si sentisse spiritualmente appartenente all’area della civiltà latina e preservasse nei secoli, nonostante la secolare dominazione turca, le invadenze russe, l’influsso del mondo greco – ortodosso, una lingua prettamente neo – latina o “romanza”, incrinata ma non snaturata dall’apporto di vocaboli appartenenti al lessico di popolazioni cui essa fu soggetta o con cui venne in contatto, come gli slavi del nord, gli albanesi, gli ungheresi, i turchi ottomani. Ancora oggi, dopo tante vicissitudini storiche, lo spirito di autonomia dei romeni e l’originalità della loro cultura sono testimonianza sicura di un orgoglio nazionale spiccato e di una tradizione che ha radici assai remote nei secoli. Nella prima metà dell’Ottocento la letteratura romena, che si configura, anche per le ragioni cui ho accennato, assai più complessa e più vicina al mondo occidentale di altre letterature balcanico – danubiane, fu caratterizzata da forme di notevole romanticismo, non senza altrettanto notevoli influenze della cultura francese cui si…

L’eterna, selvaggia voce del mare

Nella voce del mare, eterna, selvaggia, il poeta bulgaro Georgi Sejtanov (1896 – 1925), che per i suoi sentimenti rivoluzionari e pacifisti dovette rifugiarsi all’estero per sfuggire alle persecuzioni della polizia del suo paese e che venne fucilato al momento del suo ritorno in patria, dove imperavano governi reazionari pronti a servirsi dei metodi repressivi più crudeli contro i democratici e i rivoluzionari, sente il tormento di una vita agitata da un’ansia perenne come di chi aspiri al sublime e all’eterno, caratteristiche proprie di qualunque poeta autentico. E’ un paesaggio sconvolto, tempestoso e, nello stesso tempo, amico quello che egli ci presenta nella poesia “Il mare”; in questo paesaggio, infatti, il poeta, eroe della lotta contro la dittatura, vede e “sente” l’immagine del suo stesso animo tormentato anelante agli ideali più alti, tenace nel portare se stesso e la società verso un mondo migliore al quale soltanto i più generosi e i più sinceri aspirano. Dal mare molti venti nascono e sul mare possono liberamente scatenarsi. Le onde alte e tempestose sembrano al poeta fiammate e la loro spuma il guizzo di un fulmine. Il mare è bello e meraviglioso in ogni stagione dell’anno, dona sollievo e riposo nei momenti…

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