L’anarchia in poesia

Generalmente l’anarchia è sinonimo di rivoluzione. Di confusione. Di rivolta. Di caos. E politicamente, ma anche socialmente, è sinonimo di uno Stato senza leggi, senza regole, senza moderazione dove tutto è contro tutti e tutti sono contro tutto; la vita civile, la civiltà stessa, talvolta, risultano compromesse, mutilate o addirittura inesistenti. Nessuno rispetta più nessuno. Nessuno segue più una norma o una tradizione, una consuetudine o un modus vivendi e operandi. Non esiste più un’autorità di alcun tipo e nemmeno un qualche punto di riferimento intorno al quale orientarsi per gettare le basi di un qualcosa di realizzabile e per costruire un qualcosa di reale e di possibile per la comunità umana in sé. Il passato è obliato o volutamente rimosso da un inconscio collettivo oscuro e, allo stesso tempo, indefinibile; il futuro è un’ombra vaga senza fattezza alcuna fra oceani di nebbia immersi nella sfera autunnale, prigioniero in un blocco di ghiaccio secco la cui temperatura va alla deriva verso lo Zero Assoluto (- 273° K); il presente sembra quasi dilazionato all’infinito: non ha un inizio e non ha una fine, può rendersi manifesto in attimi inquieti e feroci come in secoli apatici e inflessibili concentrati in giorni vacui…

Il canto sublime e misterioso della natura

Il deserto del Sahara, il più grande deserto della Terra. Di giorno il sole arroventa la sabbia gialla e i ciottoli, il vento disfa e modella dune fugaci come gocce di pioggia, vaste come oceani surreali dimenticati in qualche angolo remoto della memoria. Di notte l’enorme distesa sembra giacere supina come per accogliere il riposo dei nomadi stanchi, delle loro carovane solerti e brulicanti di vita mentre il cielo stellato si adagia parallelo alla terra con la sua immensità quasi inverosimile che avvolge l’uomo, gli animali, le voci, i sospiri, gli echi perduti … Le tribù beduine si raccolgono intorno ai fuochi per disperdere il freddo notturno. Raccontano storie, avventure, fatti di una quotidianità mai scontata e banale ma piuttosto scandita quasi dall’imprevedibilità, dalla lotta, dal rischio. Soprattutto recitano versi composti nell’ispirazione immediata, che sopraggiunge sempre, o che rammemora un mitico passato perso nei giorni senza storia della creazione del mondo. I Tuareg, ad esempio, avvolti negli abiti tradizionali color blu, elargiscono orgogliosi il dono del loro poetare nella lingua madre, il Tamashequ, la cui dolce cadenza e la tonalità lieve hanno radici sicure nel primitivo e misterioso mondo matriarcale. La loro antenata, la Madre Primordiale, era una regina giunta…

I versi di una poesia continua e infinita

L’Australia è un continente lontano e forse ancora misterioso e sconosciuto. Le tribù di aborigeni, i nativi di quella terra, sono ormai ridotti in sparuti gruppi concentrati per lo più nelle zone molto interne del continente. Anch’essi, da tempo, conoscono il progresso e gli stili di vita prettamente occidentali. Ne sono anch’essi assuefatti, e sono immersi nel senso dell’effimero e del nulla banale che, di conseguenza, quelli producono e diffondono a livello planetario. Pur tuttavia e nonostante ciò queste poche tribù aborigene ancora “genuine” e naturali conservano, quasi intatte, le loro tradizioni ataviche. Colpisce, soprattutto, la loro concezione nei riguardi del canto, della poesia in rapporto all’esistente tutto. Curioso e un tantino incredibile, per loro ogni cosa è canto. Ogni cosa è poesia. Dal vento alle stelle, dalla luna al sole, dalla pioggia al fuoco, dal caldo al freddo, dalla caccia alla danza rituale, dal pasto in comune al filo d’erba, dall’albero alla roccia, dal nascere al morire, dal crescere e diventare adulti al matrimonio e al generare prole, dall’alternarsi delle stagioni al salto del canguro e all’arrampicarsi del koala sugli alti rami dell’eucalipto. L’aborigeno australiano parla alla natura intera e ad ogni cosa che esiste sulla terra in versi,…

Due parole soltanto: grazie Franco, grazie maestro Battiato

Era l’anno 1978 forse, o giù di lì, quando ho ascoltato, per la prima volta alla radio, insieme ad un bambino di quattro o cinque anni, “L’era del cinghiale bianco” canzone splendida e riuscitissima di Franco Battiato, che non avrei mai più smesso di ascoltare e di amare. Era poi l’anno 1982 quando ascoltai, forse per la prima volta o forse per la seconda in quanto l’album era uscito alla fine del 1981, “La voce del padrone” di Franco Battiato; album che salì subito in vetta alle classifiche musicali italiane e vendette un milione di copie, ancora primo e unico caso in Italia. Da allora in poi i successi di Franco Battiato non si contano più. Canzoni quali “Bandiera bianca”, “Cuccurucucù”, “Sentimiento nuevo”, “L’esodo”, “Veni l’autunnu”, “Giubbe Rosse” e molte moltissime altre credo siano entrate a far parte dell’immaginario collettivo italiano dalla fine degli anni Settanta fino ad oggi. Franco Battiato, il maestro, il grande siciliano, è morto oggi, 18 maggio 2021, nella sua casa di Milo alle pendici dell’Etna; aveva compiuto settantasei anni il 23 marzo scorso. Da buon catanese, in primis, e da buon siciliano non poteva che ritornare alla sua terra d’origine, alle sue radici più autentiche…

E’ solo il principio

E’ solo il principio Un rombo di luce dagli abissi più profondi dell’Universo dove la luce non è nemmeno più… ha spezzato i sigilli della pietra ha accecato gli uomini rudi soldati e niente più. Era un giardino spoglio nonostante la primavera, nudi i rami degli alberi intrappolati le foglie e i fiori nell’inverno del tempo. L’aurora già indora il cielo è un giorno nuovo e rinnovato, sazi e abbandonati nel sonno dormono i potenti all’ombra dei loro troni effimeri ignaro va il povero a mendicare dove sempre si posano i suoi stracci pacata e silenziosa ogni madre si affanna a preparare il pane unico alimento dell’umanità affamata e il cane randagio, l’asino il bue aggiogato rimarcano al mondo il dolore di vivere. E’ pieno giorno ormai fiori e foglie a profusione: la dolce pace di una festa segreta. Cosa è successo? Cosa è avvenuto? Niente sarà più come prima. Cosa avverrà? Cosa succederà? Lo spazio il tempo la morte i luoghi la storia tutto è stato sconfitto … E’ solo il principio. Francesca Rita Rombolà P. S. – Buona Pasqua ad ogni essere vivente della terra.

Il vento azzurro della primavera e della poesia

Il vento azzurro dei poeti. Il vento azzurro della poesia. Il vento azzurro che porta con sé la speranza e il sogno. Il vento azzurro che porta il silenzio dell’anima e la voce della libertà. Il vento azzurro che porta il calore e allontana il freddo del lungo inverno dell’immaginazione. Il vento azzurro che spira dai monti al mare e dalle vette più alte alle pianure più ampie. Il vento azzurro che spira dal cono terminale dei vulcani alle onde infinite degli oceani. Il vento azzurro della vita e della morte. Il vento azzurro della vita. Il vento azzurro del risveglio. Il vento azzurro della poesia. Il vento azzurro dell’uomo che ama, e sa che l’amore può tutto e va oltre il Tutto. Il vento azzurro della primavera. Il vento azzurro del suo primo giorno. PRIMAVERA SILENZIOSA E SILENTE L’inverno è forse il volto gelido della morte? Forse i suoi occhi colmi di vuoto scrutano senza guardare? Riposano lieti finalmente i morti nel primo giorno del risveglio universale e coloro che i propri morti piangono sentono il caldo sole dell’alba. Il Canto rinnova la terra scorre cristallino e sobrio il ruscello di montagna, ritmo e danza è la cascata sulla…

Danza di angeli liberi

        DANZA DI ANGELI LIBERI Oscuro è il mondo nella sua notte più lunga. Là nelle dolci terre mediterranee dove la natura non muore mai neanche d’inverno, va solo l’ultimo viandante alla ricerca di una grotta che millenaria e obliata attende solerte la presenza.   Tace il Mistero oggi muta è la parola, un suono primordiale l’intima nota dispersa ha dato ascolto e origine al mistero dell’Universo.   Colui che nasce reca silente il mistico dono della rosa. E’ una rosa fiorita radice d’Oriente che cambia, rinnova, salva.   E’ una danza il cielo danza di angeli liberi. Giunge il lontano. Ha trovato. Dai monti i perduti sentono il Canto che guida e spiana la via.   Lieto e immane è il sorriso del bimbo ormai nato. Andiamo. Da ogni dove. E’ il tempo. Tempo di essere, soltanto. Francesca Rita Rombolà   P. S. – Buon Natale e felice Nuovo Anno a tutti gli esseri e alle cose tutte dell’Universo.

L’algoritmo che compone versi

Di recente è stato chiesto ad un algoritmo, da parte di una società situata nella Silicon Valley (California, USA), la Yewno esattamente, la cui piattaforma mette in connessione i concetti che trova nel suo archivio memorizzando ogni giorno milioni di pagine, di comporre una poesia così come l’avrebbe scritta, ad esempio, Emily Dickinson o Novalis o John Keats o Eugenio Montale. In modo specifico, per “l’esperimento” fu scelto il poeta italiano Eugenio Montale. E l’algoritmo, servendosi dei concetti, la compone, non uguale in tutto e per tutto ad una poesia di Eugenio Montale, ma nello stile attinente e proprio della sua poetica, lasciando sbalorditi gli stessi ricercatori che gli avevano inoltrato la richiesta in quanto i versi composti sono risultati “perfetti” nell’assonanza, nella metrica, nella sintassi e nell’allitterazione, e addirittura nel sentimento e nel pathos che hanno saputo ricreare… quasi come se la poesia fosse stata scritta dal poeta in persona, magari ritornato, per qualche attimo appena, dall’Aldilà. Ecco la poesia di Eugenio Montale scritta – elaborata dall’algoritmo in questione: “Ciò che rimane è l’esile traccia di filigrana che leggera segua i nostri passi è l’idea di te che lascerai la mia vita ed io che incerto proseguo il mio…

Intorno al libro e oltre…

INTORNO AL LIBRO E OLTRE… I libri? – importanti, banali, inutili impossibili, inerti, dimenticati, vivi, folli ma… I libri- belle copertine illustrate, foto splendide o insignificanti pagine e pagine di pensiero, di entusiasmo di emozioni, di sentimenti repressi o esplosivi di molte asperità incofessabili e oscure di vita che pulsa e va oltre, della morte rimossa che ritorna con più forza e virulenza. Ma sono solo fogli di carta dall’odore intenso e sottile e irresistibile quasi che colpisce le narici più sensibili, fogli di carta sì, profumo di alberi – segno e traccia – di un altrove nascosto. Un libro è il pezzo di pane che si divora con il gusto inconscio della fame placata per un attimo. Il libro – sogno e libertà, sognata libertà e speranza – è un mondo. Il mondo anche. Forse anche di più, un universo stelle e pianeti che si rincorrono galassie in formazione l’eterna danza cosmica dell’ombra e della luce. Da un sussurro appena può nascere un verso da una parola il movimento della Storia da un carattere di scrittura dipinto, inciso o stampato il senso ultimo di ogni cosa. Leggere talvolta è il canglore silenzioso di una resurrezione che trasfigura l’essere, leggere…

L’ulivo: simbolo di pace e di resurrezione

L’ulivo: pianta millenaria, eccellenza endemica delle terre intorno al bacino del mar Mediterraneo. Non vi è civiltà senza ulivo, non vi è ulivo senza civiltà. I popoli del sud dell’Europa lo sanno bene perché da millenni le loro terre ospitano questa pianta insieme alla storia, alle leggende, ai miti che hanno disegnato e formato l’Occidente. Ancora oggi al Sud vi sono ulivi che, secondo la leggenda, sono stati piantati da Ulisse, alla cui ombra si sedette Ercole, al cui tronco rugoso si appoggiò Pitagora. Da un commento di Servio Tullio al libro I delle Georgiche di Virgilio si apprende di una fortezza, Gargaròn (dal nome di una delle vette del monte Ida nella Troade), costruita in Calabria da centocinquanta troiani che approdarono nel golfo di Taranto dopo la distruzione della loro città. L’Ulivo, In Calabria, è provato, era coltivato già nel 1200 a. C., proprio il tempo della leggendaria guerra di Troia cantata da Omero! Uno strano fenomeno sembra sia la caratterista dell’ulivo: esso “cammina”, e i molti esemplari ritorti e bizzarri, che oggi si vedono dalla Calabria alla Grecia, dalla Spagna alla Terra Santa, sono il frutto della “frammentazione migrante” di ceppi antichissimi, addirittura plurimillenari. Cosa significa ciò? <<…

La letteratura in sé metafora che insegna e guida

Giorni di tristezza, di lutto, di incertezza e di velata speranza. Ma oggi è pur sempre il primo giorno di primavera dedicato nel mondo intero alla poesia. E la Poesia non ha mai mancato, nelle varie epoche storiche, di cantare, di mostrare, di testimoniare, di far riflettere e di descrivere grandi pandemie che hanno sconvolto popoli, nazioni, regni, civiltà. A cominciare dal poeta romano Tito Lucrezio Caro che nel poema “De rerum natura”, soprattutto nell’ultimo libro, ha lasciato ai posteri un affresco terribile quanto struggente ed elevato della peste di Atene secoli prima dell’era cristiana. E poi Giovanni Boccaccio nel suo “Decamerone” rammemorazione letteraria in tempi (medioevali) sconvolti da pestilenza universale, esempio primo per le generazioni future di poeti e letterati che si sarebbero cimentati con ecatombi umane provocate da nemici invisibili tuttavia potenti e difficili da sconfiggere. E ancora Alessandro Manzoni che nel suo capolavoro “I promessi sposi” si sofferma molto sulla peste che sconvolse Milano e la Lombardia nel diciasettesimo secolo. Come non ricordare, a tal proposito, soprattutto dai tempi del liceo (parlo della mia generazione, primi anni ’80 del Novecento, e forse anche della generazione successiva. Di quella odierna non lo so più) la visione di alta…

Le figlie della luna

Le figlie della luna sono le donne che hanno ali ai piedi e lucciole fioche tra i capelli. Le figlie della luna sono le donne che piangono e ridono, che sanno soffrire e sanno lottare quando tutto è perduto, e inutile è diventato l’amore che la loro anima dispensa con gratuità. Le figlie della luna sono le donne che rischiano e perdono tutto, che sanno perdere tutto e ogni cosa con dignità e autostima ma sanno anche vincere e fare della loro vittoria una perla in più da aggiungere alla collana preziosa che adorna la loro splendida pelle. Le figlie della luna sanno tenere duro e in pugno il flusso e il riflusso delle catastrofi, l’improvviso esplodere delle emergenze più varie e più terribili. Le figlie della luna sanno scavare e scavare a mani nude sotto strati e strati di cenere e di morte per ritrovare la voglia, il desiderio e la speranza di ricostruire e di ricominciare a vivere in ogni senso. Le figlie della luna sono fatte di argenteo pallore e di eterei sogni che oscillano piano Le figlie della luna Sono brume e nebbie, rugiada e brina. Le figlie della luna sono fiori notturni che sbocciano all’alba…

Un lieto e gioioso San Valentino, festa dell’amore e degli innamorati

Per chi ama troppo e mai abbastanza. Per chi sa amare e non se ne compiace. Per chi innamorato e vigile prende per mano la sua diletta, e insieme percorrono strade perigliose e irte senza mai cedere allo sconforto. Per chi molto ama e sa lenire e perdonare. Per i delusi e gli illusi dell’amore, perché forse non è sufficiente un giorno soltanto per ricordare e ricordarsi a vicenda che l’amore va oltre e sempre oltre e ancora oltre e oltre ancora… Per chi ama e ama solo e solamente, e basta. LE FORME DELL’AMORE Così stretti… solo le labbra si sfiorano e danno intensità al respiro. Ma l’ultimo battito del cuore il tuo e il mio in te in me abbraccia l’Universo. Cosa rende un giorno diverso da ogni altro? Cosa fa di un dolce abbandonarsi il supremo istante oltre il tempo? Non so. Sono confusa. Lo sei tu ancor più di me, non voglio sapere e mai capire il perché le forme dell’amore feriscono, turbano ma danno infine il vero appagamento. Francesca Rita Rombolà

Un Canto sommesso e profondo per Auschwitz
Francesca Rita Rombolà / 27 Gennaio 2020

27 gennaio 1945 – 27 gennaio 2020 Settantacinque anni fa veniva liberato, dalle truppe sovietiche (l’Armata Rossa), il campo di stermino nazista di Auschwtz in Polonia. Simbolo di morte, di distruzione, del Male per eccellenza, la sua esistenza ha significato per l’uomo, per l’umanità molte cose insieme spesso contrastanti, spesso diverse. Molto si è scritto, molto si è detto in questi settantacinque anni in tutto il mondo di questo “campo della morte”. Oggi, 27 gennaio 2020, Giornata Internazionale della Memoria, io che ho fatto della memoria, del ricordo, spesso per avvenimenti personali e di dolorosa o gioiosa intimità,una specie di “ragione di vita” non posso non associarmi alla memoria collettiva che ricorda e ricorda, e non dimentica non dimentica… anche in tempi in cui la memoria e il ricordo non hanno più molto valore per le generazioni più giovani. Celebro questo giorno col Canto, come sempre, perché il Canto, ossia la Poesia, può custodire, celebrare con discrezione, rispetto e sacralità e donare ai morti, in primis, e ai vivi il ricordo perenne, abito esclusivo e sicuro di immortalità. FOSSA COMUNE è una poesia tratta dalla raccolta PETALI GRIGI (Edizioni del Leone, 2004) di Francesca Rita Rombolà FOSSA COMUNE Copritemi di…

L’Isola di Pasqua – La terra più lontana da ogni altra al mondo
Enzo Taccone , Francesca Rita Rombolà / 18 Settembre 2019

Giovedì scorso è stato presentato a Tropea il libro “L’Isola di Pasqua. La terra più lontana da ogni altra” scritto da Francesca Rita Rombolà e da Enzo Taccone, pubblicato da Mario Vallone Editore. Di seguito l’intervento dell’autrice, il video integrale della serata girato da Salvatore Libertino e alcune foto scattate da Bice Lento. Altre informazioni sul volume al seguente link: vai al libro. ___________________________ Per la presentazione del libro “L’Isola di Pasqua – La terra più lontana da ogni altra al mondo”. Autori :Francesca Rita Rombolà – Enzo Taccone, casa editrice: Mario Vallone Editore. Era il 9 ottobre quando, ad una mia richiesta di valutazione di una poesia, Indro Montanelli, giornalista, critico letterario, scrittore rispondeva più o meno così: << Continua a scrivere e persisti. Il tuo talento e la tua ispirazione non sono da gettare al vento o alle ortiche >>. Poi si sono aggiunti la spinta emotiva, l’affetto e il pungolo letterario di mia sorella a spronarmi. Sono passati trenta anni da allora. Ero poco più che ragazza. Ho seguito il consiglio: ho continuato a scrivere. Sempre. Non ho mai smesso di scrivere. Non ho ancora smesso di scrivere. Dal lontano 1989 ad oggi, 2019, ho scritto tanto…

la scrittura: bene inestimabile per ogni uomo e patrimonio dell’ umanità
Francesca Rita Rombolà / 23 Gennaio 2019

L’ uomo scrive da molti millenni ormai. La scrittura è nata, se non proprio con l’uomo forse subito dopo, quando egli muoveva i primi timidi e incerti passi verso la civiltà. La scrittura è propria dell’ uomo ed è stata inventata da lui. Il perchè forse non è difficile intuirlo. L’ uomo della scrittura si è servito e si serve e, allo stesso tempo, è servito dalla scrittura. Magici segni o semplici linee, geroglifici misteriosi o sottili caratteri cuneiformi; simboli comunque di scrittura che esprimono i sentimenti, i sogni, le ambizioni, i desideri, le conquiste dell’uomo sulla terra. Molte scritture ha inventato l’uomo, molte volte nei corsi e ricorsi della storia egli ha modificato codeste scritture adattandole via via alle proprie esigenze linguistiche, culturali, sociali e letterarie. Senza l’invenzione della scrittura in generale avremmo mai conosciuto il sorgere e il tramontare di intere civiltà? Saremmo mai venuti a conoscenza diretta di capolavori letterari, filosofici, religiosi quali l’ Eneide, I Dialoghi di Platone, la Bibbia? No, di sicuro no. Scrittura è, dunque, sinonimo di creatività, di pensiero elevato, di profondità psichica coinvolgente tutto l’ essere, di espressione meravigliosa dell’anima e dello spirito; in una parola di civiltà. Potremmo mai immaginare una…

Un “difetto” sublime dell’ uomo
Francesca Rita Rombolà / 18 Gennaio 2019

Questa poesia di Bertold Brecht non è una poesia sulla guerra, nè una poesia sulla pace. E’ quasi un inno alla dignità dell’ uomo, alla sua supremazia sulle cose sì ma in nome del suo attributo umanamente più nobile e più elevato cioè il pensiero. Con la forza incisiva del suo verso, con la carica estremamente tesa della sua moralità e della sua etica, con l’ efficacia persuasiva della sua testimonianza esemplare e unica, umana e artistica ce lo rivela una delle voci poetiche più significative del Novecento. Mai come in questo primo ventennio del nuovo secolo i versi di codesta poesia si sono rivelati addirittura profetici per il mondo intero, per l’ umanità, per l’uomo. Cosa sarebbe l’ essere umano senza il pensiero, senza la capacità di pensare, senza l’ uso proficuo della ragione? Probabilmente soltanto un animale appartenente ad una specie uguale alle altre che popolano il pianeta. Il pensiero, la ragione distinguono da sempre l’ uomo dall’animale. L’uomo è sì un animale però un “animale che pensa”: questa l’ enorme diffrenza! Eppure il ventunesimo secolo ha messo in atto lo sviluppo dell’ intelligenza artificiale ossia l’ intelligenza delle macchine costruite dall’ uomo stesso. Ciò è un bene?…

L’isola immaginaria del poeta errabondo
Francesca Rita Rombolà / 23 Dicembre 2018

Che il Natale imminente sia tranquillo e silenzioso, lieve e impalpabile, dolce e misterioso; quasi una nuvola bianca che passa nel cielo vespertino del tramonto. Che l’anno veniente, prossimo nella breve attesa, sia gioioso e pieno e qualche volta doloroso e profondo, breve o lungo, felice o indifferente, sicuro o incerto, imprevedibile o scontato, illuminante o velato da ombre imperscrutabili; quasi una nuvola tinta di rosa e d’oro nel cielo adamantino dell’aurora.   L’ isola immaginaria Che cos’è un anno o anche un secolo quando il tempo è divenuto un soffio di vento sopra le vaste distese oceaniche? Quasi silenziose si aprono lentamente le porte dell’ Eternità, l’ ignoto incombe il mistero sovrasta le cose invisibili e lontane notti e giorni si dilungano o spariscono.   Ci sarà ancora sulla terra un’ isola deserta circondata da barriere coralline acque azzurrissime e suoni di conchiglie bianche trasportate dalle maree? Il carico degli anni che piega la schiena del poeta sfiora le palme alte dell’ isola immaginaria custodita nella sua anima errabonda. E possono volgere i millenni e le epoche e gli eoni la fine di un anno e l’ inizio del successivo avranno sempre il retrogusto della temporalità calata nell’ istante….

Poesia per chi non è più fra noi
Francesca Rita Rombolà / 1 Novembre 2018

Perché ciascuno ricordi i propri morti e tramite la Poesia riesca a trovare conforto nei momenti di maggiore tristezza e solitudine.   IL PANE DEI MORTI Reca con sè un messaggio lontano il pane consumato in questo giorno. La tavola è imbandita per coloro che non siedono più. Asfodeli nei campi di novembre, prima di sera il vento porta voci disperse. Va il pensiero di ciascuno e di tutti a chi amò e camminò su strade di ogni tipo e si appoggiò a muri ormai in rovina. Stanno per cedere il passo le ore mentre l’autunno si inoltra nel tempo del riposo. Francesca Rita Rombolà

Un diritto naturale per ogni bambino che viene al mondo
Francesca Rita Rombolà / 18 Settembre 2018

Da qualche giorno è iniziato il nuovo anno scolastico. Bambini e ragazzi di ogni età vanno a scuola per imparare (mi auguro)molte cose, per essere pronti così ad affrontare la vita e anche la morte con la determinazione, il coraggio e il senso civico propri di esseri umani consapevoli e di cittadini di un mondo libero in continua evoluzione. Sono bambini e ragazzi che hanno tutto il necessario, dal punto di vista materiale, e spesso anche il superfluo per poter vivere bene e sviluppare al meglio le loro potenzialità e la loro intelligenza. Ma soprattutto hanno dei genitori, una famiglia che li amano, li proteggono e (purtroppo) li viziano. Essere amati e protetti dai genitori, dalla famiglia è ormai, per i bambini e per i ragazzi dell’Occidente (il cosìddetto “primo mondo”), un diritto acquisito e una consuetudine quasi insita nel proprio codice genetico. Non è così per tanti e tanti bambini e ragazzi di ogni parte del mondo, in primis di quei paesi dove la guerra, la povertà, la miseria, l’assenza di genitori, di una famiglia, di una società civile li ha privati e li priva anche del diritto ad essere amati… un diritto naturale per ogni bambino che viene…

Poesiaeletteratura.it is Spam proof, with hiddy