Il poeta e il labirinto immaginifico

La Poesia, come l’amore, per sua natura appartiene alla sfera dell’indicibile. Come tutto ciò che ha a che fare con l’anima, con la dimensione più profonda e segreta dell’Essere, è vicina al mistero. E’ essa stessa mistero. E’ mistero inaudito. E’ mistero cosmico. Perciò si accompagna al silenzio, ed è imperscrutabile essenza del silenzio. Superare la barriera dell’inesprimibile, dare forma o corpo all’indicibile è impresa folle, quasi pienezza di “terrore panico” in cui solo i poeti si sono cimentati … e si cimentano da sempre. E’ un addentrarsi nel labirintico mondo dell’immaginale per cogliere le mille cangianti sfumature che il poeta trae dal silenzio per dar loro voce e parola. In questo profondo, e spesso doloroso, viaggio misterico – iniziatico il poeta è il folle, il portatore e, insieme, il mediatore di quella “sacra e divina follia” per mezzo della quale si confronta con l’inesplicabile per far sì che tale esperienza misteriosa e sovvertitrice diventi suono, parola, canto. Nel labirinto in cui le multiformi realtà immaginali si dispiegano e tuttavia vagano come imprigionate la Poesia è il velo che cela e custodisce, innalza e separa, unisce e consacra; ma è soprattutto il “filo di Arianna” che guida il prigioniero,  guida…

La Poesia, ponte sospeso su abissi infiniti e su baratri spaventosi

In poesia l’immaginario, e l’immaginazione, sono un ponte. Un ponte che collega due sponde: l’anima e il linguaggio. Senza l’immaginario, e l’immaginazione, profondi e misteriosi al pari di una dimensione insondabile, nouminosi e colmi di sacralità quanto un atto di magia o un antico rito sacrificale, le due sponde dell’esistere, cioè l’anima e il linguaggio, resterebbero separate per sempre senza possibilità di contatto, di confronto, di conoscenza, di fusione o anche di rafforzamento e di indebolimento. Il poeta attinge al pozzo dell’immaginario, e dell’immaginazione, oscuri, larvali, spesso orrifici ma, allo stesso tempo, luminosi, limpidi, ludici e gioiosi, che porta in sé come un fardello spesso di una levità lieta ma, molto più spesso, di una pesantezza dolorosa e greve talvolta insopportabile; vi attinge nei momenti di ispirazione quando il gorgo assordante dei flutti della sua anima tace o è in tempesta mentre egli, solitario ed enigmatico come il neofita che sta per essere iniziato ai misteri dell’Altrove, si accinge ad attraversare il ponte sospeso che sta in alto il quale è periglioso, oscillante e stretto come i ponti sospesi su fiumi infernali nelle vallate andine o himalayane a oltre tremila metri di quota. E’ sempre un rischio quasi estremo per…

La Poesia e la guerra

I tamburi di guerra si odono ogni giorno e ogni notte. Vicini o lontani. Lontanissimi o vicinissimi. Dietro l’angolo o oltre la linea dell’orizzonte. Si odono per tutto l’anno. Si odono da anni. Si odono da secoli. Si odono da millenni. Si odono fin dalle prime civiltà umane. Si odono da sempre. Non c’è mai stato un periodo storico sul pianeta terra che abbia conosciuto la pace globale. Uguali, distinti, talvolta spaventosi, talvolta del tutto normali, delle volte perfino monotoni. Di giorno hanno ritmi incessanti. Rullano. Durante la notte sono un suono vago e indistinto che colpisce nel profondo la percezione e può mettere anche paura o panico. Un suono che penetra ciascuna fibra dell’anima e fa vibrare ciascun lembo di pelle. Ogni guerra, da quella combattuta con la fionda e le pietre più di diecimila anni fa, a quella combattuta con le bombe, i mitra, i missili nel ventunesimo secolo, porta con sé, inevitabilmente, distruzione, violenza inaudita, miseria, perdita, dolore dello spirito e sofferenze nel corpo, traumi di ogni tipo ma soprattutto morte. Dove la guerra sosta, anche per un tempo brevissimo, non vi sono che macerie su macerie … intere città, grandi e piccole (e villaggi), che un…

Questo bimbo… soffio dell’Eterno

QUESTO BIMBO Fu il più oscuro e il più solitario dei profeti nelle sue dolorose visioni a percepire, a capire … I pianeti, le costellazioni si mossero nei cieli quasi si misero in cammino come gli uomini che li osservavano da tempo, e del tempo compresero la grandiosità dell’Evento. Notti così stellate … Luce. Luce che splende sui popoli. Non ne verranno mai più in quel che è nominato futuro, in una notte così lunga per il mondo così sfibrante e unica il buio era tenebra le tenebre si libravano sopra l’Abisso. Che cos’è il cielo per la terra? Soltanto mistero e silenzio che parlano da una lontananza interdetta alla vista di occhi procaci nella tempesta. Chi è predisposto all’ascolto sa prima di comprendere che il segno giunge affinché sia ricomposta l’origine frantumata dal remoto accadimento degli avi. L’invisibile conosce la sua propria essenza per cui tutte le ragioni del mondo non potranno bastare. Immerso nell’azzurra quiete il bue gode la pienezza dell’istante, l’asino lo guarda felice dall’azzurro primordiale che lo avvolge. Sono e saranno gli animali più sfruttati più battuti, più dileggiati ma la notte in cui nasce questo bimbo hanno un compito elevato al pari del sole e…

Breve dialogo fra una donna, ferita e maltrattata, e una splendida pantera

Una splendida pantera trova una donna, ferita e maltrattata, ai margini di una foresta. I due iniziano allora a dialogare in tutta sincerità e spontaneità. P – Hai lividi dapertutto e sei ferita al petto. Lascia che ti lecchi il sangue dalla piaga e ti dia conforto. Chi ti ha fatto tutti questi lividi? Chi ti ha procurato questa ferita al petto? D – E’ stato l’uomo … Sei una pantera davvero splendida con un manto nero come la notte e gli occhi ardenti e penetranti come i fuochi di un accampamento di nomadi nella vastità della steppa. P – L’uomo ti ha fatto questo? Perché?! … D – Perché l’uomo spesso è violento e colpisce senza una ragione. P – Colpisce gli animali, colpisce gli alberi e le piante; sì proprio senza una ragione. Eppure non immaginavo che potesse colpire anche la donna: un essere umano uguale a lui. D – In fondo lo ha sempre fatto, e continua a farlo ancora oggi. P – Ancora oggi? Oggi che ha costruito una civiltà avanzata dove ciascun essere del pianeta può reclamare senza paura il diritto alla vita e alla propria dignità di essere vivente? D – Sì, ancora oggi,…

La morte e la vita si contrappongono come le cose che in natura coesistono. La dolorosa percezione del poeta Miguel Hernandez

Miguel Hernandez (1910 – 1942), di umilissime origini, passò la giovinezza aiutando il padre, un pastore di capre sensale di bestiame, finché, attratto dalla poesia, si recò a Madrid dove, tra innumerevoli difficoltà economiche, riuscì a farsi conoscere e apprezzare nei circoli letterari più importanti e vivaci della capitale spagnola. Allo scoppio della guerra civile militò tra i repubblicani. Al termine di questa fu rinchiuso nelle prigioni franchiste dove subì maltrattamenti e torture di ogni genere, che ne minarono la salute portandolo a morte precoce. La sua poesia presenta una tecnica che risente della tradizione del barocchismo spagnolo ai limiti della retorica, ma è sinceramente ispirata da un senso della vita grave e dolente, da un qualcosa che ha quasi il peso ineluttabile della fatalità e della morte, a parte – si intende – le liriche che rivelano il suo forte impegno civile e politico testimoniato dalla partecipazione alla guerra civile e dalla morte in carcere. La breve lirica “Il cimitero è vicino” è dedicata al figlioletto morto a soli dieci mesi, mentre in Spagna imperversava la guerra civile. Il dolore è contenuto e silente, ed esplode, in silenziosa deflagrazione, soltanto nell’ultimo verso che chiude la dolorosa descrizione dove la…

Versi spezzati e incerti di una poesia, frammenti dispersi e lacerati di un poema oltre il Tempo

Il cielo è bianco. La terra è bianca. L’aria è freddissima. Il mondo ha vissuto la sua apocalisse ormai da tempo. La civiltà è scomparsa dalla faccia del pianeta. Spazzata via forse da una guerra atomica, forse da un’immane catastrofe naturale o forse perfino di origine extraterrestre. La vita si è quasi estinta. La varietà di colori, con le loro molteplici sfumature, che caratterizzavano le terre emerse, è scomparsa. La fauna e la flora terrestri, evolutesi in milioni di anni, non esistono più. Era un pianeta meraviglioso la terra, il terzo di un sistema solare collocato non troppo al centro di una galassia come ve ne sono centinaia o anche migliaia in tutto l’Universo conosciuto o sconosciuto. Un pianeta meraviglioso la terra sì. Per il solo fatto che vi era la vita: forme di vita via via sempre più complesse fino a raggiungere quella umana, la più completa e complicata, la più enigmatica, la più sublime e, allo stesso tempo, la più controversa e la più contraddittoria, che si potesse mai immaginare e realizzare. Ma adesso è tutto finito … in questo ammasso sferico di macerie, di ceneri, di polveri radioattive, di strati su strati di scheletriche rovine, di inumani…

Joshua Tree. Un albero le cui radici toccano il centro della terra e dell’anima

Negli Stati Uniti d’America e nel mondo è conosciuto come Joshua Tree (ossia l’albero di Giosuè, il personaggio biblico dell’Antico Testamento, chiamato così dai primi coloni bianchi giunti nel deserto della California nel diciannovesimo secolo, appartenenti alla confessione religiosa dei Mormoni). E’ davvero un albero mitico. Ma forse più che mitico si potrebbe anche dire leggendario. Oggi si trova all’interno del Joshua Tree National Park, in un’area sacra ai nativi americani denominata il deserto del Mojave, in California. Un albero, oltretutto, che appartiene ad una specie molto longeva che può sopravvivere anche per diversi secoli. Un unico albero e un albero unico puntellato e circondato solo da rocce e da cespugli bassi. Solitario e grandioso, misterioso e immerso nella sua area sacrale, The Joshua Tree vive e si nutre di un paesaggio surreale e insieme irreale, altamente suggestivo e intensamente poetico. Artisti in ogni campo e di ogni tempo hanno immortalato quest’albero con le loro opere e per mezzo delle loro opere. Si dice che un poeta, un musicista, un pittore, uno scultore, un regista, uno scrittore recandovisi ai piedi di The Joshua Tree e sostandovi, anche per pochi minuti, non possa fare a meno di trovare ispirazione per le…

L’Occidente e il tramonto del sole

Fin da tempi arcaici l’Occidente è la terra a Ovest del mondo. Il mondo in direzione del tramonto del sole. Il luogo misterioso della sera e della chimera, della bellezza selvaggia e dell’inconoscibile, delle possibilità e anche dei sogni. L’Occidente: la terra del tramonto. Già Omero la descriveva come la dimora sconosciuta del sole, ed Eraclito ne parlava come della realtà tangibile dell’accadimento e del vero perno del mondo. L’occidente è l’Europa. L’Occidente è l’America. L’Occidente è stata la terra del progresso scientifico e della corsa al futuro. E’ stata la terra della modernità, ma oggi è anche la terra della post – modernità. E se pensatori del Novecento come Oswald Spengler (per citare il più popolare e il più stranamente controverso) hanno visto nell’Occidente il topos di una profezia eclatante, dolorosa quanto inesorabile, predicendone il declino lento, irreversibile e forse violento tuttavia l’Occidente, entità geografica e geopolitica piuttosto rilevante e primaria, si erge sempre come simbolo di trasformazione e di positività, quasi una fiaccola sempre accesa indicante il percorso notturno ad una globalità disomogenea e spesso smarrita. Che cos’è l’Occidente? Un concetto, forse; forse un’idea, forse anche un’ideologia, forse, più precisamente, un ideale e un carnet di valori unici…

Il dono del poetare in un’antichissima leggenda del popolo Inuit

Per la fisica quantistica tutte le radiazioni elettromagnetiche sono composte di fotoni (cioè luce allo stato puro). Questi si raggruppano in un’ampia varietà di energie: da quelle estremamente energetiche dei raggi gamma, a onde cortissime, a quelle estremamente non energetiche delle onde radio lunghissime. In una qualunque banda di radiazioni in cui l’energia raddoppia, passando da un margine della banda all’altro (o la lunghezza d’onda raddoppia nella direzione opposta), si ha un’ottava. I raggi elettromagnetici sono compresi, in tutta la loro ampiezza, in linee di ottave, e la luce visibile occupa una posizione più o meno a metà strada. Ogni cosa (oggetto, pianta, animale, uomo, essere animato o inanimato) che non abbia una temperatura pari allo Zero Assoluto (cioè -273° Kelvin) emette fotoni su un’ampia varietà di energie. Relativamente pochi agli estremi della banda e il massimo verso il centro. Nel caso di cose (oggetti o entità) molto fredde, freddissime, prossime ai -273° Kelvin (lo Zero Assoluto), la radiazione massima è molto spostata nella regione delle onde radio. Nel caso di cose a temperatura ambiente (come noi esseri umani, ad esempio), la radiazione è situata negli infrarossi a onde lunghe. Non vi è, dunque, energia, luce a -273° Kelvin. Di…

L’Arte e lo Zero Assoluto

Se la temperatura più alta per bruciare i libri, che contengono sapere e cultura, è 451° Fahrenheit come rende edotti al riguardo Roy Bradbury nel suo romanzo “Fahrenheit 451”, di certo, ipoteticamente e fantascientificamente, quella più bassa per congelarli o per annientare ogni germe di vita è – 273° Kelvin, la temperatura più bassa nell’intero Universo, ossia lo Zero Assoluto. Il caldo brucia e uccide; il freddo, all’opposto, rende inerte la materia e uccide. In questo primo scorcio di ventunesimo secolo è forse ancora viva l’Arte? Sì l’Arte. la Poesia, in primis, con il suo carico di sentimenti, di sensibilità, di immaginazione, di fantasia, di sogno e di illusione, di ascolto profondo e indicibile dell’Essere? Forse sì, ma è come mutilata, moribonda, umiliata, esiliata e senza più molta prospettiva di vita. Sembra forse andare, con andatura lenta ma costante, verso lo Zero Assoluto. Possiamo ancora salvarla? Forse sì, perché anche il freddo terribile: il mare ghiacciato dell’indifferenza e dell’ignoranza può conservare senza tuttavia uccidere, può obliare senza tuttavia annientare. A tale proposito mi vengono in mente alcuni aneddoti che riguardano lo strano e incredibile rapporto tra l’Arte e il freddo e cioè che, in passato, i grandi capolavori della musica,…

Il Tuat (o tradizione) arabo e la modernità

Il termine arabo Tuat si può tradurre con “tradizione” la quale, a sua volta, nel mondo arabo – islamico implica una serie di termini e concetti che spaziano da “eredità” in generale a “patrimonio materiale e spirituale” fino a “raccolta di tracce del passato” o anche a “carica affettiva e contenuto pieno di tradizione ideologica”. Essere “moderni” non significa affatto, per il pensiero arabo – islamico, rifiutare la tradizione né rompere con il passato, ma piuttosto innalzare il modo di assumere il rapporto con la tradizione a livello di ciò che viene definita “contemporaneità” la quale consiste nel mettersi al passo del progresso che va attuandosi a livello planetario. Anche se si ammette che la modernità europea rappresenta oggi la modernità “planetaria” per eccellenza, già solo il suo inserirsi nella storia culturale specifica dell’Europa – anche come figura di opposizione – la rende incapace di confrontarsi in un dialogo critico con la realtà culturale araba la cui storia si è costruita in spazi lontani. Estranea alla cultura araba e alla sua storia, la modernità europea non riesce a stabilire un dialogo capace di avviare un movimento all’interno di tale cultura. Costretta com’è a confrontarsi con esso solo dall’esterno, automaticamente spinge,…

La poesia Nabati: una rosa purpurea nel deserto

Poesia del deserto. Poesia Nabati, o popolare. Poesia dal fascino esotico e indiscutibile. Poesia che viene da lontano, dal paese dei “Mille e una notte”, cioè dalla penisola arabica. La poesia Nabati, o del deserto, cattura il lettore per il contenuto nostalgico e sentimentale che la pervade. Dopo un periodo di oblio, riceve nuovo impulso dal poeta siro – libanese Khayum – d – Kin az – Zarakli che, nel volume dal titolo “Ma ra itu wa ma sami tu” (Ciò che ho visto e sentito)), riporta alcuni esempi di poesia denominata “Al – Humayni” e spiega il significato di alcuni versi. Az – Zarakli divide la poesia beduina in due gruppi: “Al – Qarid”, metricamente e linguisticamente corretto, e “Al Humayni”. Il poeta ha compreso l’importanza della poesia beduina, anche se povera dal punto di vista grammaticale, ed afferma: “Il beduino tutt’ora nella poesia evoca le tracce antiche, descrive le nuvole e le montagne, esprime la sua nostalgia per l’amore, piange la separazione, compone elegie per la morte di una personalità o per esaltare un personaggio. Nella sua poesia si riconosce, perciò, lo spirito del poeta beduino che si dirigeva verso Ukaz oltre quattordici secoli fa”. Con questo scritto…

La Poesia e il tempo

Il tempo: enigma e mistero fin dalla comparsa dell’uomo sulla terra. Il tempo: ossessione, ansia, tabù, realtà sacrale, entità che sfugge. E’ stato e continua ad essere tutto ciò per l’uomo il tempo e il concetto di tempo. Il tempo: inafferrabile eppure ineludibile; realtà o irrealtà? Cosa si sa o si può mai dire di concreto intorno al tempo? I rintocchi di una campana che scandiscono le ore, ciò che noi, come esseri umani, facciamo ogni giorno, nel bene o nel male, è uno scandire lento o veloce del tempo. Gli orologi (anche i più sofisticati quali quelli atomici che scandiscono perfino i millesecondi) misurano il tempo: in secondi, in minuti, in ore ma non dicono che cos’è il tempo. I calendari lunari o solari riportano, regolarmente e ciclicamente, i giorni, i mesi, gli anni ma non dicono, ugualmente, che cos’è il tempo. Ci hanno provato i filosofi di ogni epoca a pensare il tempo e a tentare di capire che cosa il tempo mai fosse. Ma in fondo non si è mai saputo, non si sa, forse non si saprà mai che cos’è il tempo. Tutti quelli che hanno indagato il tempo e hanno dissertato su di esso sono…

I bambini e la guerra

Bambini che hanno perso l’amore e il diritto all’amore. Bambini che non conoscono più l’amore. Bambini soli e solitari che hanno fame e sete di ogni cosa, ma di essere amati e accuditi principalmente. Bambini che non possono più giocare. Bambini che non possono più esprimere la loro gioia di vivere. Bambini che non riescono più ad esperire la loro innocenza ludica e il loro spirito di libertà infinita e pura. Bambini in guerra e in mezzo alla guerra. Bambini trascinati dalla guerra come arbusti spezzati lungo gli argini da un fiume in piena. Bambini sotto shock a causa della guerra il cui trauma disumano sarà come una zavorra invisibile che si porteranno addosso per il resto dei loro giorni fino a tarda età. Bambini che hanno dentro la loro anima infantile ancora in formazione l’innato senso di una pace superiore e profonda che gli uomini non riescono mai a capire e perciò non possono mai dare. Bambini i cui effetti disastrosi della guerra sono ferite dagli squarci inauditi e dalla profondità senza dimensione che brilleranno come piaghe perlacee di luce tenebrosa col trascorrere cruento degli anni e delle stagioni. Bambini la cui levità divina contrasta terribilmente con la nefanda…

L’azzurro dei poeti

“Voglio un azzurro speciale. Un azzurro che vada oltre il colore reale che l’occhio riesce a percepire e a focalizzare. Voglio l’azzurro dei poeti!”. Pare che Michelangelo Buonarroti dicesse queste parole quando dipingeva la Cappella Sistina e fosse preso dal dilemma del colore da dare al cielo del monumentale affresco. Il colore sì, l’azzurro certo, ma quale sfumatura di azzurro? Che particolarità di azzurro? L’azzurro della Cappella Sistina dire che è straordinario e meraviglioso è poco. E’ un azzurro divino. Sì, l’azzurro del Divino. L’azzurro preternaturale. L’azzurro edenico. L’azzurro dei poeti. Eppure Michelangelo non fu mai pienamente soddisfatto di questo azzurro ricercato e trovato con difficoltà. Per lui non era ancora il “divino azzurro”, l’azzurro che “l’occhio umano non riesce a percepire, a vedere, a mettere a fuoco materialmente”. L’azzurro. Il colore azzurro. L’azzurro dei poeti. Che cos’è? E’ davvero un colore? Il colore azzurro, appunto? O non è piuttosto un concetto immaginifico? Una dimensione ancestrale perduta? Un archetipo? Una metafora della poesia come realtà che non appartiene al mondo, alla società, al calcolo, al raziocinio, al comune sentire? Sicuramente, e fin dai tempi più remoti. Il cielo del pianeta terra è azzurro. I mari del pianeta terra sono azzurri….

Al Andalus. Un sogno, o solo l’ombra di un sogno?

Realtà? O solamente un sogno? Forse soltanto un sogno ma che è stato realtà. Una realtà immersa in un mondo sognante. Una patria ideale perduta. La terra del sogno e dei sognatori. Forse la terra della poesia. Forse il regno dei poeti. Sto parlando di Al Andalus (la moderna Andalusia, la regione più a sud della Spagna). Il tanto decantato e meraviglioso regno arabo di Spagna di Al Andalus. Regno forse davvero mitico e leggendario dove le arti e le scienze raggiunsero uno splendore incomparabile, la civiltà fu di una raffinatezza unica e lo sviluppo economico, culturale, umano di una magnificenza a dir poco assoluta. Regno che, nella realtà, così come ebbe un inizio ebbe anche una fine piuttosto tragica e improvvisa ad opera della “reconquista” cristiana la quale non fu proprio indolore e neanche proprio magnanima nei suoi riguardi, cancellando un’era felice, di progresso, di sviluppo, di mollezza e di bellezza in tutti i campi e in tutti i sensi. Re, principi, filosofi, matematici, sapienti, poeti e cantori; arabi, ebrei, di paesi anche lontanissimi e sconosciuti abbandonarono Al Andalus, con i suoi segreti, la sua magnificenza e la sua grandezza, al conquistatore e si dispersero per tutto il Mediterraneo…

E’ Pasqua

I prati sono fioriti. E’ Pasqua. Il grano è in erba. E’ Pasqua. L’albero di fico non è più nudo e grigio, ma inizia a vestirsi di tenere foglie verdi che crescono sempre più di giorno in giorno. E’ Pasqua. Tempo che apre le porte al risveglio. E’ Pasqua. Soglia tra il vivere e il morire che si infrange. E’ Pasqua. La terra feconda e il cielo benevolo si preparano al dono gratuito dei frutti che fortificheranno gli uomini di buona volontà e dal cuore puro. E’ Pasqua. Ulivi millenari e palme dal fusto perfetto ondeggiano al vento lieve, misterioso e lieto della speranza.   VERSO I TEMPI ULTIMI Sogni infranti pensieri di primavera di ludica levità molti i colori naturali che non hanno riscontro nella realtà, più belli e maestosi dei gigli dei campi degli antichi re e dei magnati moderni. Dalle rupi nude e dalla roccia scavata un pensiero, un’idea un cuore che batte ancora che prenderà vita e darà la vita perle dal mare fili di porpora dalle conchiglie, e il vento che annulla o amplifica le distanze. Ecco l’impasto essenza di civiltà remota che dal frumento figlio della terra diventa pane e mistericamente diviene corpo e…

Mille cose di primavera

Mille angoli nascosti dove le viole fioriscono ancora. Mille gesti d’amore in cui i cuori sensibili e puri palpitano ancora. Mille lacrime di compassione con le quali l’essere umano guarda umilmente il volto dell’altro uomo. Mille risate spensierate sulle quali splende la libertà come il sole più ardente dell’Universo. Mille sogni di speranza dove la primavera giunge a riscaldare l’anima gelata dal rancore, dal profitto, dalla sopraffazione; e la Poesia rinnova la sua dolce ansia di ascoltare, di donare, di rammemorare la bellezza di tutto ciò che vive, muore e si rinnova.   E POI VENNE IL GIORNO Fango e dolore portò il disgelo, ma la primavera non si fermò. Fiamme e violenza portò l’acciaio dei carri da guerra sull’asfalto grigio di caligine il cielo piombò furente sugli esseri vivi e sulle cose inerti, ma la primavera non si fermò. E poi venne il giorno il suo primo giorno silenzioso e silente quasi da tutti dimenticato e da chiunque desiderato dietro la maschera di tenebre che indossa il mondo. Uno scricciolo cantò piccolo, insignificante ignorato e percosso dal peso cadenzato del soldato e dal peso soverchiante dell’oblio ma cantò e cantò e non smise di cantare, e ancora cantò dal…

Un piccolo e straordinario fiore del deserto

Un libro che prende spunto da una storia vera, un libro sulle donne e che parla di donne; di una donna in particolare la cui vicenda vissuta fin da bambina testimonia, ancora una volta, il coraggio, la determinazione, la voglia di vivere e di essere libere delle donne costrette ad una vita derelitta e spesso di schiavitù da una società che non comprende, non aiuta e si mostra chiusa, insensibile, mortifera e devastante. “Fiore del deserto. Storia di una donna” di Waris Dirie con Cathleen Miller è un libro crudo e crudele, per certi versi affascinante per altri terribile. La protagonista della storia è nata in un villaggio della Somalia in una famiglia di nomadi che ha dodici figli. All’età di cinque anni è già una bella bambina vivace ed intelligente, il padre decide, secondo le usanze dei nomadi del deserto, di infibularla (cioè la dolorosa e tremenda mutilazione genitale delle donne). Waris ricorderà per sempre quell’esperienza come un qualcosa di orribile per il suo essere donna. In seguito, il padre la diede in sposa ad un uomo in cambio di cinque cammelli. Lei è coraggiosa, bella, e vuole soprattutto essere libera ed avere un destino diverso, o almeno, più…

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