“La Poesia è resistenza, è speranza, è memoria viva”. Dialogo con Jean Bruschini, scrittore, saggista, sceneggiatore

9 Maggio 2025

Jean Bruschini è nato a Roma nel 1962. E’ sceneggiatore e divulgatore scientifico. Nel corso degli anni ha pubblicato venti libri tra saggi e inchieste in italiano e in francese, tra cui: “La Révélation: Les Mesonges de l’histoire – Un’inchiesta sui segreti della storia ufficiale”; “La Stirpe del Serpente – Esplorazione del primo grande mito dell’umanità”; “L’anello mancante – Provocazioni sulle origini dell’evoluzione umana”; “Anunnaki – Viaggio nei miti mesopotamici e nelle radici dimenticate delle civiltà”; “Mi chiamo Sem”. Ha collaborato con riviste specializzate, programmi radiofonici e televisivi. Ha tenuto conferenze in Italia e all’estero su temi come le civiltà perdute, l’archeologia non convenzionale, le discipline naturali. Jean Bruschini ha fondato “Kultura Project”, una piattaforma internazionale che produce contenuti culturali in collaborazione con diverse emittenti del mondo. Da questo è nato il talk show “Sin Fronteras – Senza Frontiere”, un ponte tra le culture, saperi e linguaggi, che conduce a tutt’oggi.

Francesca Rita Rombolà dialoga con Jean Bruschini intorno al Mito, al Simbolo, al Linguaggio.

D – Jean Bruschini, vorrei che raccontassi la tua personale riflessione e il tuo concetto più, diciamo così, intimo (nel senso proprio tuo), di mito e la sua relazione con la Poesia fin dalle origini dell’umanità.

R – Per me il Mito è il modo in cui l’umanità, fin dall’inizio, ha cercato di raccontarsi l’invisibile. E’ un linguaggio simbolico che ha preceduto la filosofia e la scienza, ma che ancora oggi continua a parlarci se sappiamo ascoltare. Il Mito è memoria profonda, una verità raccontata sotto forma di storia. Non appartiene al passato, ma a qualcosa di essenziale che portiamo dentro. La Poesia, in questo senso, è sorella del mito. E’ ciò che da voce all’indicibile, che cerca di nominare ciò che sfugge alla logica ma che sentiamo vero. Quando scrivo, che si tratti di un romanzo o di un saggio, cerco sempre quella risonanza poetica e mitica che ci connette alle nostre radici. Nel mio libro “La Stirpe del Serpente”, ad esempio, ho cercato proprio di scavare nel fondo simbolico delle civiltà antiche, mettendo in dialogo miti, simboli e conoscenze di popoli lontani per mostrare come esista una matrice comune, un immaginario universale che ci unisce. Il Mito, in fondo, non è solo una chiave per comprendere chi eravamo, ma anche un modo per orientarsi nel presente e forse, chissà?, nel futuro.

D – Vuoi dire qualcosa sul tuo ultimo libro “Mi chiamo Sem?”

R – “Mi chiamo Sem” è nato da una lunga e appassionata ricerca che mi ha portato a studiare testi antichissimi, miti e leggende di ogni parte del mondo, scritti biblici ed extrabiblici. Il libro è strutturato in 23 capitoli, un po’ come una serie TV, e racconta la storia di Sem, uno dei figli di Noè, in un tempo che precede il Diluvio Universale. Un’epoca remota, ma estremamente viva, segnata da tensioni profonde tra l’uomo, il Divino e forze oscure che minacciano l’equilibrio del mondo. Il mito del Diluvio è davvero universale: si contano oltre duecento versioni in culture lontanissime tra loro, dalle tavolette sumere alle narrazioni babilonesi, fino ai testi della Genesi e al Libro di Enoch. Ho cercato di intrecciare tutto questo in una narrazione che fosse al tempo stesso rigorosa sul piano storico e capace di evocare emozioni e domande profonde. Quello che ho voluto raccontare non è solo una grande catastrofe, ma anche un passaggio interiore: un momento di crisi in cui i personaggi si interrogano sul senso della loro esistenza, sul male, sulla salvezza. E’ una storia che parla di fine e di rinascita, e che ci riguarda ancora oggi. Non è solo un romanzo storico, ma un viaggio dentro le nostre domande più antiche e più attuali.

D – Gilbert Durand ha costruito un’intera visione antropologica basata sul simbolo, donandogli una forma quasi scientifica. Secondo te, oggi manca, alle società post – moderne, un modo di vivere centrato sul simbolo?

R – Assolutamente sì. Viviamo in una società che ha dimenticato il valore dei simboli. Durand ci ha mostrato che il simbolo non è una fantasia da lasciare ai poeti, ma una struttura profonda del pensiero. Il simbolo collega, da senso, ci aiuta a orientarci. Oggi, travolti da un’enorme quantità di informazioni e dalla velocità, abbiamo perso quella capacità di “leggere” il mondo in profondità. Ma la fame di simboli è ancora lì, nascosta nei sogni, nelle storie che amiamo, nella spiritualità che cerchiamo. Recuperare una coscienza simbolica non è un lusso: è una necessità per non perdere il contatto con ciò che ci rende umani.

D – Che cos’è per Jean Bruschini il Linguaggio, e che cos’è, secondo te, per l’uomo in generale?

R – Il Linguaggio è il nostro primo strumento sacro. E’ ciò che ci permette di dare forma al pensiero, ma anche di entrare in relazione con gli altri e con il mondo. Per me non è solo uno strumento di comunicazione, è un atto creativo. Quando nominiamo qualcosa, non stiamo solo descrivendo: stiamo partecipando a un atto di comprensione e, in qualche modo, anche di creazione. Per l’uomo, il Linguaggio è, allo stesso tempo, specchio e ponte: riflette ciò che siamo, ma ci apre anche all’incontro con l’altro. Ecco perché è così importante custodirlo, difenderlo dalla banalizzazione. Una parola viva può ancora salvare.

D – I poeti, la Poesia potranno ancora, magari anche in un futuro lontano, creare un mondo più umano, più vitale come hanno fatto in passato?

R – La Poesia continuerà a provarci, anche se il mondo spesso sembra andare altrove. Non perché la Poesia abbia il potere di cambiare tutto da sola, ma perché contiene un’energia che scavalca i limiti dell’utile, del misurabile, del produttivo. La Poesia è resistenza, è speranza, è memoria viva. E’ ciò che ci permette di sognare mondi diversi, di vedere ciò che non c’è ancora ma che potremmo costruire. Ogni civiltà è nata da un canto, da un racconto, da una visione poetica. E anche oggi, in mezzo al rumore, c’è bisogno di chi sa ancora ascoltare il silenzio e trasformarlo in parola.

Francesca Rita Rombolà

Jean Bruschini

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