Shizukuishi, una ragazza giapponese, l’io narrante, è la protagonista principale del romanzo “Il giardino segreto” di Banana Yoshimoto, scrittrice giapponese dei giorni nostri ormai conosciuta a livello planetario. Questo romanzo è forse, a mio parere, l’opera più riuscita, o almeno una fra le più felici, di questa scrittrice post – moderna che ha fatto conoscere (e continua a far conoscere) la sua terra, il Giappone, al resto del mondo. Non solo per la scrittura, fresca e quasi evanescente, lo stile disinvolto e fluente, l’incisività della struttura sintattica e la semplicità del linguaggio ma anche per i personaggi, la trama, la storia in sé, lo sfondo, sociale e umano, e soprattutto la natura così particolare e unica nel paese del Sol Levante.
“Il giardino segreto” racconta di un rapporto d’amore piuttosto controverso tra Shizukuishi e Shin’chiro i quali sono alla ricerca, in una Tokyo caotica eppure brillante, di un appartamento tutto loro per poter andare a vivere insieme. Vi è poi, come una sorta di rapporto speculare al loro, la vita vissuta in comune fra Kaede e Kataoka; un sensitivo – veggente molto famoso, il primo, il suo compagno amante, il secondo. Shizukuishi ha lasciato il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza vissute sulle montagne, in mezzo alla natura e insieme alla nonna, sensitiva – veggente a sua volta, per andare a vivere a casa di Kaede, nella capitale, come sua segretaria.
Vicende umane e inserite nel tessuto veloce e liquido dei tempi; atmosfere esotiche e lontane; il fascino di un paese agli antipodi dell’Occidente non solo geograficamente ma per cultura, tradizione, lingua, scrittura, religione, comportamenti, stile di vita antico e attuale; suoni, colori, sapori, odori, gestualità e cibi, modi di vestire e di presentarsi, comportamenti etici, pensieri, idee, speranze e tristezza ruotano nel romanzo con una sapiente levità e riescono a infondere vitalità e immedesimazione, compiacimento e rilassatezza anche al lettore più scettico o più pignolo. E, visto che siamo in Estremo Oriente, non manca certo il senso del mistero e la sua capacità di coinvolgere e di attrarre, dato da un ciondolo di giada a forma di serpente, dal significato recondito e quasi occulto, che Shizukuishi ha ricevuto dalla nonna e che gli permetterà, oltre che a immergersi nei ricordi di un passato oscuro e non facile, di prendere contatti con la nonna che vive ormai da molto tempo a Malta. Infine, l’esistenza di un giardino “segreto” completa l’affresco di questa strana e piacevole vicenda. Un giovane, Takahashi, affetto da disabilità fisica (si muoverà sempre su di una sedia a rotelle) che vive con la madre, si occupa, con un amore profondo e velatamente morboso, della cura di un giardino bellissimo e rigoglioso la cui atmosfera si rifà ad un certo misticismo spiccatamente orientale, richiamando inconsciamente la tradizione del buddhismo zen tipica del paese. Questo giardino è “segreto” perché tutti i protagonisti del romanzo, e non solo Shizukuishi, ne percepiscono l’aura magica e sottile, la vita esuberante eppure nascosta delle piante e dei fiori in sintonia con il loro “guardiano – custode” che troverà, anche nella morte, beatitudine e pace per mezzo di essi.
Shizukuishi e Shin’chiro non andranno mai ad abitare insieme. Si lasceranno. La ragazza farà un viaggio a Taiwan con Kataoka, per motivi di studio e di ricerca esoterici, e acquisterà consapevolezza di sé e una maturità che la traghetterà da un’acerba gioventù ad una realtà interiore di adulta. Significative, in quanto rivelatrici dell’essenza ultima della storia, le battute finali del romanzo in cui l’io narrante della protagonista comprende appieno la vera realtà delle cose: “Takahashi voleva dimenticare la sofferenza, la tristezza, i desideri, lasciarsi avvolgere da qualcosa di più grande, assimilare, sciogliersi. E, in ultima istanza, credo che ci sia riuscito. Non si trattava solo di Takahashi né del giardino: quel luogo era affiorato all’improvviso, nel bel mezzo di tutto il resto. Al termine della sua breve vita, trascorsa sempre insieme alle piante, il suo spirito si era avvicinato alla completezza. ( … ) Perché ha voluto dedicare la sua vita a quello scopo? Perché gli uomini imitano la natura? Non è per rivivere i ricordi migliori né per elevarsi al di sopra del resto. Credo, invece, che essi affidino la propria felicità a quel qualcosa che li rende capaci di delineare alla perfezione un mondo senza alcun vero motivo”. Idea (o ideale) tutta estremo – orientale, e prettamente giapponese, di guardare, di capire, di vivere se stessi e il mondo.
Francesca Rita Rombolà
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